Edizione:1996/1997
Data pubblicazione:08/04/1997
Il 19 novembre 1994 una donna riesce con uno stratagemma a sfuggire a un maniaco che ha tentato di seviziarla nel suo casolare di Terrazzo Veronese. Viene arrestato Gianfranco Stevanin, 37 anni, agricoltore. Nel casolare gli inquirenti trovano materiale pornografico d'ogni genere e decine di fotografie di donne: alcune di esse sono tuttora sconosciute, alcune sono state rintracciate, altre sono state ritrovate morte. Il 3 luglio 1995, nei pressi della sua casa, viene ritrovato il tronco di una donna che, secondo le analisi, sarebbe una minorenne. Cinque mesi dopo si trova anche il corpo di Claudia Pulejo, uccisa nel gennaio del '94.
Stevanin comincia a parlare soltanto nell'estate del 1996, e racconta che la Pulejo sarebbe morta in seguito a giochi sessuali estremi. Un'analoga versione la fornisce per la morte di Biljana Pavlovic, strangolata nel settembre del '94 e ritrovata un anno dopo. Dice poi di aver fatto a pezzi il corpo di una studentessa e di averlo gettato nel fiume Fratta, ma le ricerche non danno alcun esito. Alle segnalazioni giunte alla nostra redazione si deve infine il riconoscimento del cadavere di Blazenka Smoljo.
Finora a Stevanin si attribuiscono gli omicidi della minorenne mai identificata, di Claudia Pulejo, di Biljana Pavlovic, di Blazenka Smoljo e di Roswita Adlassnig, una ragazza austriaca scomparsa, e mai ritrovata, nel maggio del '94: i suoi documenti erano nel casolare con alcune foto.
Il 6 ottobre 1997 ha avuto inizio il processo.
Gli inquirenti stanno inoltre cercando Silvana Kovac, amica di Blazenka, che dovrebbe vivere nella zona di Verona e potrebbe essere a conoscenza di particolari utili alle indagini. Chiunque sia in grado di fornire informazioni è pregato di contattare la nostra redazione.
Il 6 ottobre si è aperto a Verona il processo a Gianfranco Stevanin. L'uomo si è presentato dietro al banco degli imputati con la testa rasata, mettendo in mostra una vistosa cicatrice. E' il segno di un vecchio incidente che dovrebbe avvalorare la tesi difensiva dei suoi legali: l'incapacità di intendere e di volere.
Primi colpi di scena al processo contro Gianfranco Stevanin, vissuto in questi giorni sul confronto tra esperti in psichiatria e neurologia sulla capacità di intendere e volere dell'imputato. I legali di Stevanin hanno presentato in aula i risultati di una risonanza magnetica. Dall'esame medico (che Stevanin si era inizialmente rifiutato di effettuare) risulterebbe una menomazione mentale dell'imputato, conseguenza di una vecchia caduta. La difesa parla di "un buco nero nel cervello" che avrebbe prodotto al pluriomicida "gravi alterazioni comportamentali". Per contro l'accusa sostiene che Stevanin, dotato di un quoziente intellettivo decisamente superiore alla media, "sapeva cosa faceva". Il professor Ugo Fornari, per spiegare la psiche dell'omicida - "che presenta tutte le caratteristiche del serial killer" - chiama in causa il suo rapporto con la madre e i "messaggi negativi" che da essa riceveva. Un episodio su tutti. La donna, appreso che il figlio aveva appena travolto ed ucciso un uomo con la sua auto, gli avrebbe detto di non preoccuparsi: lei gli avrebbe comperato una macchina nuova.
Il 4 luglio del 1989 una ragazza - che successivamente è deceduta - scampò alla follia di Stevanin. Di quell'episodio, resta la denuncia, che è stata letta in aula. La ragazza raccontò alle autorità di aver seguito Stevanin nel suo casolare e di essere riuscita a sottrarsi alla sua violenza fingendosi malata di AIDS. Disse inoltre che Stevanin l'aveva attirata promettendole 600.000 lire per delle foto. Dal processo è inoltre emerso che Stevanin avrebbe usato la stessa tecnica anche per attirare altre ragazze. Tra queste, Roswita Adlassnig, la giovane austriaca scomparsa nel maggio del 1993, le cui foto vennero trovate a casa di Stevanin. Fu Petra, una sua amica, a denunciarne la scomparsa. Chiamata a testimoniare, Petra dice che Roswita, prima di sparire, era stata avvicinata da Stevanin che, successivamente, avrebbe fatto anche a lei la stessa proposta. Proposta che lei rifiutò.
In aula, di fronte a Gianfranco Stevanin, si siede la madre, Noemi Miola, su cui pesa un terribile sospetto: quello di essere stata sempre a conoscenza dei crimini del figlio e di averlo protetto e assecondato. La donna, indagata per detenzione illecita d'armi, favoreggiamento reale e concorso in occultamento di cadavere, si avvale della facoltà di non rispondere. Parla, invece, il cugino di Stevanin, Antonio De Togni. L'uomo riferisce ai giudici di quando, arando un campo della famiglia, scoprì un pacco, dentro al quale furono poi trovati alcuni resti di una delle vittime di Stevanin: Biljana Pavlovic. "Ho continuato ad arare - dice in aula. Poi sono tornato indietro e l'ho ricoperto. Pensavo che potessero essere altri resti di quel tronco trovato tempo prima". Ma perché, lo interrogano, questo collegamento? "Diciamo, risponde, per una serie di motivi. Per alcune cose che avevo sentito, non direttamente, diciamo orecchiato da mia zia, credevo ci potesse essere qualche collegamento." Ma il grosso delle dichiarazioni De Togni lo avrebbe reso fuori dall'aula. Racconta a "Chi l'ha visto?" Giancarlo Beltrame dell' "Arena" di Verona che l'uomo avrebbe rivelato al Pubblico Ministero di aver trovato una testa nel pagliaio. A questo punto la zia gli avrebbe detto che sarebbe stato lo stesso Stevanin a rimuoverla appena uscito dal carcere. De Togni si sarebbe anche impegnato a redigere una memoria dettagliata per il Pubblico Ministero: memoria che, però, non è stata ancora consegnata.
Gianfranco Stevanin è stato condannato all'ergastolo. Dovrà scontare 3 anni di isolamento diurno, che scatteranno quando la sentenza diverrà esecutiva. La Corte d'Assise di Verona ha ritenuto Stevanin responsabile di sei omicidi e di una violenza carnale, con le aggravanti di crudeltà, occultamento e distruzione di cadavere.
I giudici hanno dunque creduto alla tesi accusatoria. L'agricoltore di Terrazzo - aveva detto in aula il Pubblico Ministero, Maria Grazia Omboni - è un "lucido assassino che sapeva sempre cosa faceva". E' dunque capace di intendere e di volere. Fino all'ultimo Stevanin aveva dichiarato di essere "probabilmente malato", sostenendo, nelle trenta ore di interrogatorio, che gli omicidi a lui attribuiti sarebbero imputabili ad errori o incidenti. Così, Claudia Pulejo, 29 anni, il cui cadavere è stato scoperto il 1 dicembre 1995 in un campo dietro la cascina di Stevanin a Terrazzo, sarebbe morta - secondo il suo racconto - per essersi iniettata da sola dell'eroina. Blazenka Smoljo, 24 anni, croata, è invece deceduta tra le sue braccia durante un atto sessuale. "Non so - ha raccontato Stevanin ai giudici - se dare la colpa di questa morte al fatto di aver stretto troppo con l'interno dell'avambraccio o se invece la morte sia da attribuire, ad esempio, a collasso cardiaco." Stessa sorte sarebbe toccata a Biljana Pavlovic, 25 anni, serba, il cui corpo è stato trovato nei terreni di Terrazzo il 12 novembre del 1995. Durante l'interrogatorio l'imputato ha ammesso di aver conosciuto Roswita Adlassnig, negando, però, di averla uccisa. Austriaca, 23 anni, Roswita scomparve l' 8 maggio del 1993, il periodo in cui si presume che frequentasse Stevanin. Da allora non si hanno più sue notizie. Il serial killer di Terrazzo è stato condannato anche per l'omicidio di due donne di cui non si conoscono le generalità. Si tratta una giovane ragazza, forse italiana, il cui corpo è stato fatto a pezzi e seppellito, e di una donna che è stata fotografata dopo essere stata mutilata. Nei negativi, trovati a casa di Stevanin, si intravede il braccio del serial killer. Tutti i delitti risalgono al periodo tra il maggio del '93 e il novembre del '94, ma è convinzione di tutti (non lo esclude neanche la difesa) che Stevanin abbia commesso altri crimini a partire dal luglio dell' 89, quando tentò di violentare una giovane prostituta veronese. E' stato condannato anche per questo reato. Si continua intanto ad indagare sulle responsabilità dei familiari ed, in particolar modo, della madre di Stevanin.