Edizione:2004/2005
Data pubblicazione:27/06/2005
Il pomeriggio del 22 giugno 1983 è stata l’ultima volta in cui Emanuela Orlandi è stata vista. La ragazza, che allora aveva 15 anni, aveva frequentato il secondo anno di Liceo Scientifico in un istituto parificato di Roma e, nonostante l’anno scolastico si fosse appena concluso, continuava a seguire, tre pomeriggi a settimana, le lezioni di pianoforte al "Tommaso Ludovico da Victoria", scuola collegata al Pontificio Istituto di Musica Sacra. Faceva anche parte del coro della Chiesa di Sant’Anna, all’interno della Città del Vaticano, dove viveva dalla nascita. Infatti era cittadina vaticana, quarta dei cinque figli di Ercole e Maria Orlandi. Il padre, commesso della Prefettura della Casa Pontificia, all’epoca aveva 51 anni e aveva anche lui vissuto sempre nella Città del Vaticano. Per raggiungere la scuola di musica solitamente Emanuela Orlandi prendeva un autobus. Scendeva dopo poche fermate, e faceva due-trecento metri a piedi. Di certo si sa che quel giorno era arrivata in ritardo alla lezione. Lo aveva raccontato una sua compagna di scuola, Raffaella Monzi: "Quel giorno Emanuela era arrivata con dieci minuti di ritardo. Me lo ricordo bene perché il professore ci chiese sue notizie. A noi sembrò molto strano perché di solito era una ragazza molto puntuale. Mi ricordo che arrivò in aula molto affannata". Prima della fine delle lezioni, durante una prova di canto corale, Emanuela Orlandi lasciò l’aula per fare una telefonata a casa. La madre non c’era e allora aveva raccontato a una delle sue sorelle la proposta che le aveva fatto un signore fermandola per strada: per un compenso di 375.000 lire avrebbe dovuto distribuire, durante una sfilata di moda, dei volantini di una casa di cosmetici, la Avon. La sorella le avrebbe detto di non prendere nemmeno in considerazione l’offerta. Lei rispose che, una volta a casa, ne avrebbe parlato con i genitori e che, eventualmente, si sarebbe fatta accompagnare da loro. Suor Dolores, la direttrice della scuola di musica, ha riferito che Emanuela Orlandi aveva chiesto al professore di canto corale di poter uscire dieci minuti prima per un impegno. Abitualmente le ragazze chiedevano il permesso alla direttrice, ma quella volta era andata diversamente. All'uscita dalla lezione Raffaella Monzi era stata raggiunta da Emanuela Orlandi che le chiese se secondo lei le conveniva prendere l’autobus oppure andare all’appuntamento per il lavoro. Dopo averle risposto che la cifra offerta le sembrava eccessiva, l’amica le disse "fai un po’ tu". Alle 3 di notte i familiari di Emanuela Orlandi chiamarono suor Dolores per verificare se qualcuna delle compagne di corso aveva notizie. La Polizia quella sera aveva consigliato di aspettare, perché forse la ragazza era con le sue amiche. Il 23 giugno venne presentata denuncia di scomparsa e il 24 e il 25 seguenti fu pubblicato un annuncio con il numero di casa Orlandi sui quotidiani romani Il Tempo, Il Messaggero e Paese Sera. Alle 18 di sabato 25 giugno arrivò la telefonata di un certo Pierluigi che diceva di avere 16 anni, ma aveva una voce e una proprietà di linguaggio da adulto, e diceva di riferire informazioni della sua fidanzata che avrebbe incontrato Emanuela Orlandi a piazza Navona. Il sedicente Pierluigi parlò del flauto, dei capelli, degli occhiali (che la ragazza non amava portare) e di altri particolari che corrispondevano. Secondo lui, però, Emanuela Orlandi aveva i capelli tagliati di fresco a caschetto, diceva di chiamarsi Barbarella e di essere scappata di casa per sfuggire a una vita piatta e monotona. Pierluigi chiamò di nuovo il giorno dopo, verso le 20 e disse che Barbarella vendeva collanine e prodotti della Avon per conto di qualcuno che poi le dava una percentuale, che aveva degli occhiali bianchi che non le piacevano. Tutti dettagli attendibili.
Il 28 giugno telefonò un uomo che diceva di chiamarsi Mario, di avere un bar vicino a Ponte Vittorio, tra il Vaticano e la scuola di musica. L’uomo disse che una ragazza di nome Barbara, che frequentava il bar, raccontava di essere scappata di casa e che sarebbe tornata per il matrimonio della sorella. Mario diceva che un suo amico forniva alle ragazze prodotti della Avon solo per aiutarle. Il 30 giugno Roma fu tappezzata con 3000 manifesti con la foto di Emanuela Orlandi.
Recentemente la Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato ha reso pubblica una immagine 'age progressed' che rappresenta una ipotesi di come potrebbe essere il volto di Emanuela Orlandi oggi. Natalina Orlandi, sorella di Emanuela, presente in studio durante la trasmissione, ha ricordato che la famiglia tentò di sporgere denuncia già due ore dopo il mancato rientro della sorella ma in commissariato le fu consigliato di attendere ancora qualche ora, tempo che i parenti utilizzarono facendo ricerche nella notte. All'epoca nella Città del Vaticano vivevano circa cinque o sei famiglie di laici con figli adolescenti. Sembra che altre tre donne appartenenti a queste famiglie abbiano avuto, come Emanuela Orlandi, la sensazione di essere seguite: la figlia di Angelo Gugel, aiutante di camera di Giovanni Paolo II, e la moglie e la figlia del capo della sorveglianza pontificia Camillo Cibin. Natalina Orlandi ha lamentato che di questo fatto la famiglia Orlandi non fu avvertita, altrimenti si sarebbero potute prendere delle precauzioni. La sorella della ragazza rapita, che spostò di due anni il suo imminente matrimonio, ha ricordato due dei punti sui quali si potrebbe fare luce a distanza di anni con la collaborazione del pubblico o il pentimento di chi sa e ha vissuto finora nel rimorso: rintracciare la ragazza con i capelli ricci che si avvicinò Emanuela Orlandi quando la sua amica andò via; scoprire chi erano i due telefonisti anonimi che si facevano chiamare Mario e Pierluigi e che erano sicuramente italiani.
Il 22 giugno 1983 le telecamere di sorveglianza del Senato, a pochi passi dalla scuola di musica di Emanuela Orlandi, erano puntate proprio sul luogo del presunto incontro con l'uomo della Avon ma quel giorno non erano in funzione. Un agente di Polizia, l'appuntato Bruno Bosco, e il vigile urbano Alfredo Sambuco, che prestavano servizio davanti al Senato, riferirono importanti testimonianze. Il primo ricordò di aver visto quel pomeriggio una ragazza che parlava con un uomo che le mostrava una borsa della Avon. Il vigile, intervistato dieci anni dopo, disse che l'uomo aveva una BMW scura e collaborò alla realizzazione di un identikit. Una volta terminato, al vigile fu detto che somigliava a una persona sospettata dai Carabinieri ma che sfortunatamente non si trovava più in Italia. Non è mai stato reso noto di chi si trattasse.
Domenica 3 luglio 1983 il Papa, durante l'Angelus, rivolse un appello ai responsabili della scomparsa di Emanuela Orlandi, ufficializzando per la prima volta l'ipotesi del sequestro. Il 5 luglio, un uomo che è stato denominato "l'Americano", fece ascoltare al telefono una registrazione della voce di Emanuela Orlandi. Poche ore prima, in una telefonata al Vaticano, la stessa persona suggerì uno scambio tra Emanuela Orlandi e Alì Agca, l'uomo che aveva sparato al Papa. L'interlocutore anonimo citò anche i sedicenti Mario e Pierluigi delle prime telefonate, definendoli 'elementi dell'organizzazione'.
Il 6 luglio un uomo con voce giovanile e senza inflessioni dialettali informò l'agenzia Ansa della richiesta di scambio Orlandi-Agca, chiedendo l'intervento del Papa, dando una scadenza di 20 giorni e indicando un cestino di Piazza del Parlamento, dove era stata lasciata la presunta prova che Emanuela Orlandi era davvero in mano loro. Si trattava di fotocopie della tessera della scuola di musica, di una ricevuta di pagamento e di una frase manoscritta della ragazza rapita.
Sulla base dei suoi immediati interrogatori di Alì Agca, il primo magistrato che si è occupato del caso Orlandi, il Procuratore della Repubblica di Frosinone Margherita Gerundi, non ha mai creduto a un collegamento tra il rapimento Orlandi e l'attentatore del Papa. Secondo la dr.ssa Gerundi, Emanuela Orlandi probabilmente fu rapita e uccisa subito dopo un atto di violenza sessuale.
Mentre l'Americano, così chiamato per il suo strano e artefatto accento, continuava a chiamare, l'8 luglio 1983 un uomo con inflessione mediorientale telefonò a Laura Casagrande, una compagna di classe di Emanuela Orlandi dicendo che la ragazza era nelle loro mani, che avevano 20 giorni di tempo per fare lo scambio con Alì Agca, e chiedendo una linea telefonica diretta con Agostino Casaroli, Segretario di Stato del Vaticano. La linea fu installata il 18 luglio. Le telefonate dell'Americano continuarono, alternadosi alle indirette risposte pubbliche del Papa, ben sette, e all'atteggiamento ambiguo di Alì Agca, ormai condannato definitivamente, che pubblicamente si dissociava da quella che lui stesso definì un'azione criminosa, dichiarandosi a favore del Vaticano.
Uno spettatore, un giornalista che sta scrivendo un libro sul caso di Roberto Calvi, ha chiamato durante la trasmissione riferendo che, durante un intervista, il figlio del banchiere ucciso in circostanze misteriose avrebbe dichiarato che il rapimento della Orlandi sarebbe strettamente connesso alla vicenda del padre. Secondo lui sarebbe stato un tentativo di fare pressioni sul Vaticano affinché nessuno facesse rivelazioni su vicende che avrebbero visto coinvolto il Vaticano con il Banco Ambrosiano.
Dopo i servizi dedicati nel luglio scorso alla scomparsa di Emanuela Orlandi è pervenuta a "Chi l'ha visto?" una telefonata anonima: "Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso, andate a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica si Sant'Apollinare e del favore che Renatino fece al cardinal Poletti, all'epoca".
Dopo questa segnalazione "Chi l’ha visto?" ha scoperto importanti documenti riservati.
Nel centro di Roma, nei pressi di piazza Navona, si trova la basilica di Sant'Apollinare. Nella cripta, dove riposano le spoglie di Papi, cardinali e martiri cristiani, effettivamente c'è la tomba di Enrico De Pedis, detto Renatino, uno dei capi più potenti della banda della Magliana, assassinato il 2 febbraio 1990. Il 6 marzo seguente il rettore della basilica, mons. Piero Vergari, ne ha attestato con una lettera lo status di grande benefattore: "Si attesta che il signor Enrico De Pedis nato in Roma - Trastevere il 15/05/1954 e deceduto in Roma il 2/2/1990, è stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la basilica ed ha aiutato concretamente a tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e umana".
Quattro giorni dopo l'allora Vicario generale della diocesi di Roma e presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), il cardinale Ugo Poletti, ha rilasciato il nulla osta alla sepoltura di De Pedis all'interno di sant'Apollinare. Il 24 aprile dello stesso anno la salma di De Pedis è stata tumulata e le chiavi del cancello sono state consegnate alla vedova.
Nel 1995 il magistrato responsabile delle indagini sulla banda della Magliana, dr. Andrea De Gasperis, venuto a conoscenza di voci sul fatto, aveva incaricato la Direzione Investigativa Antimafia di verificare. Nell'estate del 1997 la notizia era apparsa sulle pagine del quotidiano romano "Il Messaggero", suscitando la protesta dei sindacati di Polizia e una interrogazione parlamentare del gruppo della Lega Nord. Nè il Vaticano nè l'Opus Dei, che nel 1992 aveva acquisito la struttura della basilica, avevano accettato di risponderne alla magistratura e tutto era caduto nel dimenticatoio.
Alfredo Sambuco, il vigile urbano che prestava servizio davanti al Senato in corso Rinascimento a Roma il 22 giugno 1983, giorno della scomparsa di Emanuela Orlandi, ha sostenuto di aver scambiato qualche parola con la ragazza, che gli aveva chiesto dove fosse la sala Borromini, e con l'uomo che era con lei e che si presume coinvolto nel suo rapimento. L'uomo, che aveva una BMW di colore scuro metallizzato, gli aveva chiesto se poteva lasciare lì la sua auto. Il vigile ricorda che l'uomo era intorno ai trentacinque anni, alto all'incirca m. 1,70 e longilineo. Sulla base della sua descrizione i Carabinieri hanno preparato un identikit dell'uomo, che sembra non sia mai stato diffuso. Secondo il racconto di Sambuco, quando gli inquirenti lo hanno esaminato, avrebbero detto che assomigliava molto a una persona che loro conoscevano, ma che non poteva essere in Italia.
Questo identikit è stato mostrato da "Chi l’ha visto?" e messo a confronto con una fotografia di Enrico De Pedis. Sovrapponendo le due immagini, i tratti somatici, la fronte, gli occhi, il naso, la bocca, le rispettive forme e proporzioni sembrerebbero corrispondere.
All'epoca dei fatti, ossia nel giugno del 1983, Enrico De Pedis detto "Renatino" era ricercato e, in quanto latitante, per le forze dell'ordine avrebbe anche potuto trovarsi all'estero. L'anno seguente egli venne arrestato, ma, nonostante la somiglianza con l'identikit, non è mai stato messo a confronto con il vigile urbano. Secondo Nicolò D'angelo, uno dei protagonisti dell'indagine che ha portato ai grandi arresti della banda della Magliana, "non c'è nessuna prova processuale che la banda della Magliana sia coinvolta nel sequestro della Orlandi". Ma resta il grande mistero della sepoltura di De Pedis in una basilica del Vaticano.
Intanto, il 29 febbraio 2008, la banda della Magliana è tornata dopo molto tempo sulle pagine di cronaca nera dei giornali per un omicidio la cui dinamica ha ricordato le esecuzioni che hanno insanguinato la capitale negli anni settanta e ottanta: l’assassinio di Umberto Morzilli, noto come "Umbertino", che sembra fosse legato a storici esponenti della banda.
In occasione dei 25 anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi i familiari hanno fatto affiggere nella capitale e nelle regioni dove è presente l'associazione Penelope un manifesto identico a quello apparso sui muri di Roma nel 1983 e che è diventato una icona del caso. Questa volta è stato affisso accanto ad un altro, preparato con la stessa grafica, con la foto e i dati di Mirella Gregori, la cui scomparsa è stata spesso associata a quella della Orlandi in questi anni. In questo modo si è voluto ricordare a tutti anche l'attesa dei familiari delle tante persone scomparse i cui casi non hanno avuto la stessa visibilità di quelli delle due ragazze romane.
Per la prima volta Maria Orlandi, la madre di Emanuela, ha rilasciato un'intervista nella quale ha ricordato alcuni episodi della vicenda. Come quando, qualche giorno prima della scomparsa, Emanuela era quasi arrivata a casa di ritorno dal mare e stava camminando con delle amiche: un'auto l'aveva affiancata e un uomo ne era sceso, afferrandola per un braccio e dicendo: “E' questa”. La signora ha ricordato anche la rabbia del marito Ercole, venuto a mancare nel 2004, quando aveva appreso della protezione assicurata ad altre cittadine vaticane che avevano avuto la sensazione di essere pedinate in quel periodo. La figlia di Angelo Gugel, l'aiutante di camera di Giovanni Paolo II, la moglie e la figlia del capo della sorveglianza pontificia, Camillo Cibin, erano state avvertite e avevano potuto cambiare abitudini. Secondo Maria Orlandi il Vaticano sarebbe stato stato informato dai servizi segreti francesi dell'esistenza di un progetto di rapimento di una sua cittadina. Ma la famiglia Orlandi non era stata avvisata.
Le sorelle delle due ragazze scomparse nel 1983, Natalina, Federica e Cristina Orlandi e Antonietta Gregori, sono intervenute in studio. Federica Orlandi, l'ultima persona che ha parlato con Emanuela, ha ricordato la telefonata nella quale la sorella le ha detto della strana proposta di lavoro ricevuta da un sedicente rappresentante della Avon. Cristina, la sorella che l'ha aspettata invano al di là del ponte sul Tevere quel 22 giugno 1983, ha ricordato lo sgomento di non trovare Emanuela a casa come aveva creduto. Antonietta Gregori si è rivolta a chi può aiutare a chiarire i collegamenti della scomparsa della sorella Mirella con quella di Emanuela Orlandi.
Nelle ore precedenti la trasmissione erano stati diffusi ampi stralci dell'interrogatorio "segreto" di una cosiddetta supertestimone, rilanciati dall'agenzia Agi e ripresi dai telegiornali e dai siti dei principali quotidiani. Si tratta di Sabrina Minardi, a lungo legata a Enrico De Pedis, che avrebbe indicato proprio il capo della Banda della Magliana come coinvolto nel rapimento di Emanuela Orlandi, il cui corpo avrebbe poi portato lui stesso in un sacco a Torvajanica, vicino Roma. Da alcune frasi trapelate, la Minardi avrebbe detto di aver incontrato personalmente Emanuela. In altri frammenti di dichiarazioni la donna avrebbe coinvolto anche monsignor Paul Marcinkus, morto nel 2006, all'epoca presidente dello I.O.R. (Istituto Opere Religiose).
Nel 2006 “Chi l'ha visto?” era riuscito a intervistare Sabrina Minardi che aveva già parlato dei legami che Enrico De Pedis aveva con la mafia siciliana, la loggia massonica P2 e Roberto Calvi del Banco Ambrosiano, anche se aveva escluso un proprio coinvolgimento nella scomparsa di Emanuela Orlandi. In una parte non trasmessa della stessa intervista Sabrina Minardi aveva anche raccontato di avere accompagnato Enrico De Pedis, quando era latitante, a due cene in casa del senatore Giulio Andreotti. Episodi che adesso la donna avrebbe raccontato anche nelle sue deposizioni.
Natalina Orlandi, precisando di non avere ricevuto alcuna comunicazione dalla Procura di Roma sugli interrogatori della Minardi, si è detta preoccupata per questa fuga di notizie.
Durante la trasmissione, un amico di Emanuela Orlandi ha telefonato per riferire che il giorno prima della scomparsa, mentre si trovava insieme alla ragazza e ad altri amici, aveva avuto la sensazione che li stesse pedinando un giovane, del quale però ha detto di non ricordare il volto. Questa persona li avrebbe seguiti lungo tutto il tragitto dal Vaticano a viale Giulio Cesare, fino al ritorno a casa di Emanuela Orlandi. Può darsi che qualcuno del gruppo di amici di quel giorno ricordi maggiori particolari, che potrebbero essere utili. Un invito in questo senso è stato fatto anche dal fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, in collegamento dalla Casa del Jazz di Roma, allestita in una villa confiscata nel 2001 al cosiddetto cassiere della Banda della Magliana, Enrico Nicoletti, che l'aveva acquistata dal Vicariato di Roma per 400 milioni di lire a fronte di un valore all'epoca stimato in almeno 21 miliardi. Dopo avere espresso rammarico per il mancato nuovo appello del Papa, che era stato chiesto dalla madre Maria, Pietro Orlandi ha chiesto di farsi viva alla ragazza mora con i capelli ricci che il giorno della scomparsa era alla fermata dell'autobus dove le amiche accompagnarono Emanuela. La ragazza, che non è mai stata identificata, potrebbe aver frequentato la sua stessa scuola di musica. Forse potrebbe essere stata lei l'ultima persona ad averla vista e avere notato qualcosa di importante.
Nel corso della puntata sono intervenute in studio Natalina e Federica Orlandi, sorelle di Emanuela, insieme ad Andrea Ferraris, marito di Natalina, al quale si devono le registrazioni delle telefonate che arrivarono in casa della famiglia Orlandi. E’ stata trasmessa la parte finale, inedita, della telefonata dell'uomo che ha sollecitato la redazione di "Chi l'ha visto?" nel 2005 a indagare sulle ragioni della sepoltura di De Pedis a Sant'Apollinare: "Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso andate a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica di Sant'Apollinare e del favore che Renatino fece al Cardinal Poletti all' epoca. E chiedete al barista di via Montebello, che pure la figlia stava con lei… con l'altra Emanuela"). A Roma, in via Montebello, c'era il bar della famiglia di Mirella Gregori.
Lo scorso aprile il latitante Antonio D'Inzillo, colui che avrebbe guidato la moto del killer di Enrico De Pedis e che avrebbe potuto fare importanti rivelazioni se interrogato in questi anni, è morto prematuramente per una malattia a Nairobi (Kenia). Nonostante le sue gravi condizioni di salute, l'uomo avrebbe rifiutato di lasciare il paese africano per farsi curare in Italia o in Sudafrica.
La verifica delle dichiarazioni di Sabrina Minardi, secondo la quale Emanuela Orlandi sarebbe stata sequestrata e portata nel sotterraneo che si trova sotto gli appartamenti di proprietà di Daniela Mobili, in via Antonio Pignatelli a Roma, ha portato la Squadra Mobile di Roma a fare un’importante scoperta. Effettivamente abbattendo un muro, è stato trovato un locale con annesso servizio igienico, collegato con i passaggi sotterranei che arrivano fino al vicino ospedale San Camillo.
Dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi furono fatti interventi anonimi scritti e telefonici per insinuare connessioni con la vicenda di Alí Agca e ipotizzare uno scambio con l’attentatore del Papa. L'ex ufficiale della Stasi Guenter Bohnsack ha però rivelato che furono proprio i servizi segreti della Germania Est a utilizzare il caso di Emanuela Orlandi per interferire nelle indagini sull’attentato a Papa Giovanni Paolo II, che puntavano sul ruolo degli agenti segreti bulgari: “Abbiamo sfruttato questo rapimento per mettere sotto pressione magistrati, politici o anche il Vaticano. Lo abbiamo sfruttato per dire : attenti, possiamo rifarlo, possiamo diventare anche piu’ cattivi se condannate Agca troppo duramente o se fate azioni contro i Lupi Grigi. Così abbiamo cercato di consolidare la tesi che metteva in relazione Agca con i Lupi Grigi, che Agca fosse un loro uomo. Abbiamo sfruttato il caso Orlandi come sfondo per la nostra attività di disinformazione”.
Quando è scomparsa Emanuela Orlandi aveva con sé l’astuccio contenente il suo flauto traverso. E’ stata mostrata una foto di lei che lo suonava ed è stato lanciato un appello a quanti siano in grado di fornire informazioni utili nel caso fosse stato ritrovato all’epoca senza essere collegato al caso.
In una parte meno nota di una delle sue telefonate, arrivate alla famiglia Orlandi poco dopo la scomparsa di Emanuela, il sedicente
Mario aveva già fatto riferimento a un appartamento in zona Gianicolense. La stessa zona, nel quartiere romano di Monteverde, è al centro delle dichiarazioni di Sabrina Minardi relative a un appartamento dove sarebbe stata tenuta segregata Emanuela Orlandi, che si trova in via Antonio Pignatelli, a pochi passi dalla Circonvallazione Gianicolense. Il 3 luglio 2008 gli uomini dell'ERT, Esperti Ricerca Tracce della Polizia Scientifica, sono tornati ad ispezionare il luogo, con l'obiettivo di ripercorrere i sotterranei che dall'appartamento di via Pignatelli si dipanano per chilometri, c'erano anche i Vigili del Fuoco insieme alla squadra dell'ERT.
Nel pomeriggio del 7 luglio 2008, alla redazione di "Chi l'ha visto?" è arrivata una telefonata anonima: "Buongiorno, io sono il Biondino, un amico di Renatino, di De Pedis. Perché la Minardi sta parlando solo adesso? Come mai? E poi perché' state buttando fango su Renatino? Ma voi non sapete che Renatino ha fatto del bene a tutta Trastevere, a delle famiglie che non potevano nemmeno mangiare? Perché poi la Minardi? La Minardi era solo una cocainomane… Io sono un amico di Renatino e ho lavorato pure per lui. Dite a quell' infame de' Mancini, che è n' infame… sentisse bene questa voce. Lo sa chi sono… che stasse attento perché lo sto cercando e state attenti a non parlare male di Renatino perché non sono affari vostri, non vi voglio dire un' altra cosa… state sputando su un uomo che é morto, che ha aiutato tutta Roma. Tanto la Orlandi lo sa bene che é morta. Arrivederci".
Nel puntata del 23 giugno 2008 si è parlato di una lussuosa villa con parco, attualmente sede della Casa del Jazz di Roma, che è stata confiscata a Enrico Nicoletti. "Chi l' ha visto?" ha intervistato Enrico Nicoletti, che ha smentito di essere stato il cassiere della banda della Magliana. "Io non ho mai avuto uno scambio di soldi con nessuno, perche' non conosco costoro della Banda della Magliana".
Durante l'intervista rilasciata a "Chi l'ha visto?" da Sabrina Minardi nel novembre 2006, la donna ha parlato anche del rapimento di Domenico Nicitra, il cui corpo, secondo le sue parole, sarebbe stato sciolto nell'acido.
Fin dalle prime ipotesi sulla scomparsa del bambino e dello zio Francesco Nicitra, avvenuta il 21 giugno 1993 a Roma, è stato ipotizzato il coinvolgimento della Banda della Magliana, visto i legami con la malavita di Salvatore Nicitra, padre di Domenico, e del fratello Francesco.
Interrogata dai magistrati della Procura di Roma, Sabrina Minardi ha ripetuto le sue dichiarazioni, collegando inoltre la scomparsa di Domenico Nicitra a quella di Emanuela Orlandi, scomparsa dieci anni prima. Sabrina Minardi, due anni dopo l'omicidio di Enrico De Pedis, ha sposato Massimiliano Mancini, che lei ha sostenuto essere il nipote di Amleto Fabiani detto "Er voto", un pregiudicato ucciso nel 1980 nell'ambito della faida interna della banda. Secondo Sabrina Minardi, il padre di Domenico Nicitra avrebbe fatto un torto ad Amleto Fabiani. Uno sgarro che qualcuno non avrebbe dimenticato, anche molti anni dopo la morte di "Er voto". La madre del bambino scomparso invita gli inquirenti a non privilegiare solo la pista della vendetta trasversale ma a verificare anche l'ipotesi che l'obbiettivo dei rapitori fosse proprio Francesco Nicitra, negli ultimi tempi meno legato agli affari illeciti del fratello.
Sulle tracce degli sconosciuti del caso Orlandi Un testimone mai ascoltato prima fa l'identikit del ragazzo biondino che parlava con Emanuela Orlandi il pomeriggio in cui scomparve a Roma. Ma quel giorno, davanti al Senato, c'era anche un'altra ragazza mai identificata
Le probabili "messe in scena" dei giorni successivi al rapimento Altri particolari sull’uomo che il giorno della scomparsa attese l’uscita di Emanuela Orlandi dalla scuola ma anche sulla “quarta ragazza” e sulla fantomatica Bmw verde. Riascoltando le telefonate dei primi giorni, fatte ai familiari, tutte le voci sembrano essere della stessa persona.
Arrivata poche settimane dopo la scomparsa, una missiva anonima collegava per la prima volta il caso Orlandi alla vicenda Calvi - Banco Ambrosiano - Ior. Ma fu gettata via.
E' stato identificato dalla Procura di Roma ''Mario'', il telefonista che chiamò a casa di Emanuela Orlandi il 28 giugno del 1983, pochi giorni dopo che la ragazza era sparita a Roma. Si tratta di un pregiudicato affiliato alla banda della Magliana, in particolare agli ordini di Enrico De Pedis detto "Renatino". Il suo è il primo nome sul registro degli indagati. A riconoscere la voce del telefonista è stata Sabrina Minardi, ex compagna di De Pedis, ascoltata ieri in Procura a Roma dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pm Simona Maisto. Già nella puntata di "Chi l'ha visto ?" del 20 febbraio 2006, Antonio Mancini, un pentito della banda della Magliana, disse di averlo riconosciuto come uno dei killer di fiducia di Enrico De Pedis. Dalle dichiarazioni di Mancini nacque un'inchiesta, nel corso della quale una consulenza fonetica escluse che il killer della banda della Magliana indicato da Mancini potesse essere stato il telefonista.
Durante la sua deposizione Sabrina Minardi ha ripercorso con i magistrati il racconto fatto un anno fa, in cui spiegava di aver incontrato la ragazza alcune volte e di essere stata con Enrico De Pedis in macchina sul litorale di Torvaianica a Roma. De Pedis si sarebbe fermato in prossimità di un cantiere e le avrebbe fatto vedere due sacchi contenenti presumibilmente due cadaveri, poi gettati all'interno di una betoniera. Secondo la Minardi, uno di quei corpi sarebbe stato quello di Emanuela Orlandi. Il racconto fatto ieri dalla donna viene ritenuto attendibile dagli inquirenti che nei mesi scorsi hanno già effettuato riscontri sia sulla identità del telefonista, sia alle circostanze spiegate dalla ex amante di De Pedis. La donna ha anche corretto alcune incongruenze temporali fatte nel suo primo racconto come quella che si riferiva alla sparizione del piccolo Domenico Nicitra, figlio di un boss della banda della Magliana, Salvatore. Il bambino, 11 anni, è sparito il 21 giugno del 1993 insieme allo zio Francesco, una decina di anni dopo
Una parente ha telefonato a Maria Orlandi, la madre di Emanuela per informarla delle novità nelle indagini: ''Non voglio sapere nulla - dice -. Emanuela ce l' ho nel cuore, sempre presente nel mio cuore. Vivo per lei. Si sentono cose... Aspettiamo, vediamo se sono vere o se è una bolla di sapone. Sono passati così tanti anni e lo hanno individuato adesso? Ogni notizia mi sembra che tutto sia successo ieri. E' un romanzo che continua. Mio marito Ercole in una trasmissione televisiva disse 'Se Emanuela è morta, ci dicano almeno dove per poterle portare un fiore'. Ma in tutti questi anni nessuno si è fatto vivo''.
"Il fatto che siano state diffuse notizie sulla deposizioni di Antonio Mancini è indice del tentativo di qualcuno di bruciare l'intera nuova inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi" - ha dichiarato l'avvocato Ennio Sciamanna, legale di fiducia di Mancini - "In questa modo, senza proteggere il riserbo delle indagini, si rischia di mettere a repentaglio l'incolumità di molte persone. Se quanto riportato dagli organi di stampa risponde al vero".A paritire dalle 21 di ieri, giovedì 10 dicembre, le agenzie di stampa hanno diffuso la notizia delle dichiarazioni di Mancini al procuratore aggiunto della repubblica Giancarlo Capaldo secondo cui egli avrebbe confermato circostanze già riferite in passato anche nel corso di ''Chi l'ha visto?'' aggiungendo ulteriori particolari. Uno di questi è che dietro il sequestro ci sarebbero stati problemi finanziari tra l'organizzazione criminale romana e il Vaticano. Mancini avrebbe tuttavia sottolineato di aver appreso queste circostanze ''de relato'' ossia da esponenti appartenenti alla banda o a questa in un qualche modo collegati. Tra questi il testimone avrebbe citato ''Ciletto'' e ''Rufetto''. Mancini, conosciuto come l'Accattone quando faceva parte della Banda della Magliana, dopo alcuni anni passati in regime di protezione per la sua collaborazione con la giustizia, non usufruisce più di alcuna tutela.
La Procura di Roma, nell'ambito degli accertamenti avviati anche con la testimonianza bis di Sabrina Minardi, che ha accusato l'ex boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, del rapimento e dell'omicidio di Emanuela Orlandi, sta anche indagando sul perché la salma di ''Renatino'', ucciso in un agguato a Roma il 2 febbraio del 1990, sia stata sepolta nella basilica di Sant'Apollinare. In questo quadro sono stati sentiti come testimoni dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, monsignor Pedro Huidobro, appartenente all'Opus Dei, rettore della Basilica, e l'ex rettore, monsignor Piero Vergari e la vedova di De Pedis, Carla Di Giovanni. Negli scorsi anni si era ipotizzato, sulla scorta di una telefonata fatta da un ignoto - riconosciuto dalla Minardi e identificato dalla procura - a ''Chi l'ha visto?'' che ‘per trovare la soluzione del caso’ invitava ad andare a vedere chi era sepolto nella basilica e ‘del favore che Renatino fece al cardinal Poletti’. L'inchiesta del procuratore aggiunto Capaldo vuol invece far chiarezza sul perché della sepoltura di Renatino a Sant'Apollinare, del perché i familiari dell'ex boss abbiano ottenuto l'ok alla sepoltura in un luogo sacro e appartenente come giurisdizione alla Città del Vaticano.
''Emanuela Orlandi è viva, sul suo caso l'Italia non deve credere alle menzogne della Banda della Magliana''. Lo dice a ‘Repubblica’Mehmet Alì Agca, il 'lupo grigio' turco che nell'81 sparò a papa Wojtyla, scarcerato ieri, rispondendo per iscritto ad alcune domande del quotidiano. L’uomo afferma di ''sapere tutto'' sulla vicenda Orlandi, ma di non poter ''rivelare'' nessun nome: ''Posso rivelare che Emanuela è stata rapita da un'organizzazione potente, soltanto per ottenere la mia liberazione e non esiste nessun altro motivo''. L'ex terrorista spiega che la donna ''viene trattata umanamente fin dal giorno del rapimento'' e che ora ''subisce limitazioni del contatto esterno'', infine annuncia che ''spera'' di portarla in Vaticano proprio quest'anno. I pm di Roma che indagano sul rapimento della ragazza, non sono intenzionati a sentire il 'lupo grigio'. La scelta, secondo quanto trapelato, non vuole comunque precludere alla famiglia Orlandi di incontrare Agca qualora lo volesse. E la madre di Emanuela, Maria Orlandi, dice: “Se lui volesse incontrarci io sarei disponibilissima, certamente. E mi limiterei a chiedergli di dire finalmente la verità. Ne ha dette tante di bugie”. Ma evita di commentare le parole dell'ex terrorista turco, che continua a ripetere che Emanuela è stata rapita perché lui fosse liberato, è viva e sta bene. ''Aspettiamo che venga in Italia, poi si vedrà se ha qualcosa di buono da dirci – dice Maria Orlandi -. Mi auguro che dica la verità. Se poi per 26 anni è stato un bugiardo...''.
La procura di Roma torna a indagare sull'abitazione a Monteverde, vicino a piazza San Giovanni DiDio, dove sarebbe stata tenuta nascosta per un certo periodo Emanuela Orlandi. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ha interrogato Vittorio Sciattella, nella veste di proprietario di un appartamento che fu indicato dalla supertestimone Sabrina Minardi come la prigione della cittadina vaticana scomparsa a 15 anni il 22 giugno del 1983. La supertestimone, in particolare, ha raccontato che della ragazza si occupò la signora Teresina, governante al servizio di Daniela Mobili, moglie di Sciattella, precisando che la stessa Mobili era ritenuta vicina a Danilo Abbruciati, esponente di spicco della Banda della Magliana. Il magistrato ha raccolto anche le dichiarazioni di Assunta Costantini, amica intima della Mobili. Quest'ultima potrebbe essere convocata a piazzale Clodio nei prossimi giorni. Ma, all'indomani delle rivelazioni della Minardi (circa un anno e mezzo fa), la donna decise di presentarsi in procura spontaneamente per ribadire di non avere nulla a che fare con il sequestro della giovane. "Non conosco questa Minardi - disse ai pm -, e tra l'altro tra l'82 e l'84 ero in carcere e anche mio marito Vittorio, nello stesso periodo, era detenuto". La donna aggiunse anche di non aver mai avuto una governante fissa, ma solo una donna delle pulizie pagata a ore.
Emanuela Orlandi scompare dopo aver frequentato una lezione di musica nello stesso complesso dove si trova, al portone affianco, la basilica di Sant'Apollinare. Il magistrato che attualmente si occupa delle indagini, Giancarlo Capaldo, e il capo della squadra mobile di Roma, Vittorio Rizzi, hanno effettuato un sopralluogo all'interno della basilica, dove c'è la tomba di Enrico De Pedis, detto Renatino. Quello che un tempo era considerato il capo della Banda della Magliana, giace all’interno di una cripta il cui accesso è consentito solo ai suoi familiari. L'uomo che che nel 1993 era rettore della basilica di Sant'Apollinare, don Piero Vergari, è stato recentemente ascoltato dagli inquirenti. "Chi l’ha visto?" lo ha raggiunto nel suo paese natale, Sigillo (Perugia), ma non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione nè rispondere alle domande, rimandando a quanto pubblicato sul sito web.
Continuano gli interrogatori per far luce sul rapimento di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana scomparsa in circostanze ancora misteriose il 22 giugno del
Maria Orlandi, madre di Emanuela Orlandi la cittadina vaticana scomparsa ormai quasi 27 anni fa, rivolge un appello attraverso ‘Chi l’ha visto’?: chiede che sia tolta la tomba del boss della banda della Magliana, Enrico De Pedis, dalla basilica di sant’Apollinare. Riguardo le ultime dichiarazioni di Alì Agca, secondo cui la ragazza è viva e tenuta in luogo segreto, Maria Orlandi commenta: "Se sa qualcosa parli, io non ho mai perso la speranza".
"Alì Agca non è pazzo. Fa il pazzo. Anzi, lo deve fare, per lanciare un messaggio a complici e mandanti. A chi gli ordinò di sparare a Wojtyla e a chi rapì Emanuela Orlandi per ottenere in cambio della ragazza la liberazione dello stesso Acga". Lo dichiara Ferdinando Imposimato, ex magistrato e oggi legale della famiglia Orlandi in un'intervista al settimanale ‘Oggi’, in edicola da domani. "Dietro alle parole di Agca bisogna leggere queste altre parole: 'Tranquilli, non farò mai vostri nomi'. Sa che se dicesse la verità non avrebbe scampo e che la vendetta colpirebbe anche la sua famiglia - afferma Imposimato – ma quando dice: 'Emanuela è viva e presto tornerà a casa' non farnetica. Ci sono riscontri e testimoni che confermano tutto" L'ex magistrato racconta poi di aver "chiesto di poterlo incontrare. Non deve avere paura. A noi i complici non interessano. Deve solo mantenere le promesse che fece a me e a Ercole Orlandi, il papà di Emanuela". La ragazza, secondo Imposimato, sarebbe stata portata in Germania dopo il rapimento, avrebbe avuto una relazione con uno dei rapitori e avrebbe due figli.
Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, all’insaputa della famiglia ha incontrato Ali Agca a Istanbul: lo rivela il sito web di Repubblica. L'inviato Marco Ansaldo spiega che al fratello della ragazzina scomparsa nel 1983, l'attentatore del Papa, da poco in libertà, ha detto "Tua sorella, caro Pietro Orlandi, è viva e sta bene. Si trova in Europa, anche se non so esattamente in quale Paese. Quando ti fornirò certi documenti, queste carte ti aiuteranno e l'organizzazione che l'ha presa dovrà liberarla". Mehmet Ali Agca, l'ex Lupo grigio che sparò a Giovanni Paolo II, è stato scarcerato dopo 29 anni di carcere ed è stato, scrive Repubblica, proprio Pietro Orlandi a chiedere di incontrarlo. I due si sono visti sabato a Istanbul, in una casa sulla sponda asiatica del Bosforo. Il colloquio in italiano è durato tre ore e mezza, di cui quaranta minuti di faccia a faccia senza altri testimoni.
''Non c'è una novità. Ali' Agca da anni dice di conoscere il luogo in cui si trova Emanuela Orlandi e le persone che la tengono prigioniera, ma finora non ha mai fornito elementi''. Lo afferma in un'intervista al Messaggero, Natalina Orlandi, la sorella di Emanuela Orlandi dopo che l'ex terrorista turco ha incontrato ieri il fratello della ragazza scomparsa nel 1983 e ha affermato che la donna è viva. "Ovviamente speriamo che dica la verità - aggiunge Orlandi -. E che comunque le sue parole possano portare ad assumere nuove informazioni. Qualunque situazione porti ad indagare sulla scomparsa di mia sorella ci rende felici" . "Chi sa deve parlare", chiede inoltre Natalina Orlandi, "soprattutto il Vaticano. Credo che a questo punto nessun elemento possa più essere tenuto nascosto". "Non so se si possa parlare di omertà - conclude - ma temo di sì".
È stato ascoltato oggi in Procura a Roma per oltre quattro ore Flavio Carboni, uomo d'affari al centro di clamorosi casi giudiziari come quello legato alla morte del banchiere Roberto Calvi. Carboni è stato ascoltato come testimone dal procuratore aggiunto Gian Carlo Capaldo, dal sostituto Simona Maisto e dal capo della squadra mobile della Questura di Roma, Vittorio Rizzi, nell'ambito dell'inchiesta legata alla scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta a Roma nel 1983. In particolare, secondo quanto si è appreso, gli è stato chiesto se sia a conoscenza di particolari sulla vicenda, soprattutto alla luce dei rapporti che Carboni ha avuto con esponenti del Vaticano e, nell'ambito della sua attività di uomo d'affari, con riferimento a soggetti legati in qualche modo alla Banda della Magliana. Rapporti con il gruppo criminale capitolino che, comunque, l'uomo d'affari ha sempre negato, affermando che si trattava di rapporti con persone di cui ignorava l'appartenenza alla banda. A chiamare in causa Carboni per la vicenda Orlandi fu la supertestimone Sabrina Minardi, già compagna di uno dei boss della banda della Magliana Renatino De Pedis, che, durante un'intervista rilasciata a ''Chi l'ha visto?'' del 2006, parlando delle conoscenze appunto di De Pedis affermò: ''Conosceva Gelli, Renato era iscritto alla P2, conosceva Pippo Calò ed una volta andammo nella sua casa di Palermo; una volta fummo invitati a cena da Flavio Carboni e lì c'era Roberto Calvi, mi presentarono Marcinkus, Calvi mi mise a disposizione il suo aereo per trasportare a Parigi i miei genitori che si erano ammalati''.
Roma, 10/3/2010 - C'e' un nuovo indagato nell'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi avvenuta a Roma il 22 giugno del 1983. Si tratta di Sergio Virtù, 49 anni, indicato da Sabrina Minardi, ex amante del boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, come l'autista di fiducia di Renatino. L'uomo, che è stato ascoltato questa sera dai magistrati titolari dell'inchiesta per oltre 2 ore e mezzo, è indagato per i reati di omicidio volontario aggravato e sequestro di persona. Virtù è stato arrestato oggi per altri reati e trasferito nel carcere di Regina Coeli. All'ex autista di De Pedis infatti, erano state infitte in passato due condanne perché coinvolto in processi per reati di truffa che vedevano imputati i cosiddetti 'colletti bianchi'. Pene infitte in giudizi di primo grado, non passate in giudicato e in attesa del processo d'appello. La misura cautelare disposta oggi nei suoi confronti, in base a quanto si apprende da fonti giudiziarie, è stata emessa su richiesta della Procura Generale della Corte d'Appello di Roma perché ''sussisteva pericolo di fuga''. Davanti al procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo, e al sostituto Simona Maisto, titolari dell'inchiesta sulla scomparsa della ragazza, Virtù ha però negato ogni addebito sulla vicenda: ha negato, in particolare, di avere mai conosciuto né avuto rapporti di amicizia con De Pedis. A tirare in ballo Virtù è stata, in primo luogo, Sabrina Minardi. Nel corso dei colloqui con i magistrati della procura di Roma, l'ex donna di Renatino ha definito Virtù come elemento non ''organico'' della banda che ha insanguinato la Capitale a cavallo degli anni '70 e '80. Per la Minardi ''Sergio'' era molto legato a Renatino nel periodo tra il 1982 ed il 1983. Secondo quanto riferito ai pubblici ministeri dalla donna, Virtù sarebbe stato l'autista di fiducia di De Pedis, e in particolare, avrebbe avuto un ruolo operativo nel sequestro della ragazza. L'ex amante del boss, nel corso dei suoi colloqui, ha raccontato di aver visto Emanuela nella zona del laghetto dell'Eur poche ore dopo il sequestro: con lei ci sarebbe stato anche Virtù.
Angelo Cassani detto 'Ciletto' e Gianfranco Cerboni detto 'Gigetto' sono indagati per sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato dalla minore età e dalla morte dello stesso, nell'ambito dell'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. L'accusa contestata è la stessa ipotizzata a carico di Sergio Virtù, interrogato ieri in serata e in carcere per altre vicende. I due, secondo la procura, avrebbero pedinato Emanuela Orlandi e, probabilmente, eseguito anche il sequestro. Entrambi, attualmente a piede libero e con precedenti penali, interrogati oggi dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal sostituto Simona Maisto, hanno respinto le accuse. Cerboni ha anche negato di essere soprannominato ''Giggetto''. Secondo quanto accertato dagli inquirenti, non facevano parte della Banda della Magliana, ma gravitavano intorno al boss Giorgio Paradisi, morto nel 2006 per tumore e già braccio operativo di Enrico ''Renatino'' De Pedis. A loro gli inquirenti sono risaliti tramite le dichiarazioni di Sabrina Minardi e di altri collaboratori di giustizia. Cassani e Cerboni, i quali hanno ammesso di aver conosciuto Paradisi negli anni Ottanta, avrebbero fatto parte, insieme con una terza persona non identificata, di una sorta di ''batteria'' al servizio di Paradisi. Angelo Cassani ha confermato a “Chi l’ha visto?” di essere indagato, durante un’intervista rilasciata a
Angelo Cassani e Gianfranco Cerboni, si erano resi responsabili di un sequestro di persona nell'aprile del 1996. Un giovane fabbro di Tor Sapienza venne rinchiuso in uno scantinato di una villetta isolata ad Ardea, legato con corde da muratori e torturato con un bastone e un coltello da sub per sei ore. L'uomo era malato di diabete ma i suoi aguzzini gli negarono l'insulina, dicendo di avergli già scavato la fossa in giardino. Poi però si allontanarono e lui riuscì a chiamare i soccorsi con un cellulare che gli avevano lasciato addosso. La sera stessa i carabinieri arrestarono Cassani e Cerboni con le accuse di sequestro di persona, estorsione e lesioni gravissime. Nelle loro case vennero trovati gli strumenti della tortura. Il fabbro era stato coinvolto con Gianfranco Cerboni in un processo per traffico di stupefacenti, venendo condannato a una breve pena, mentre per Cerboni la condanna era stata a 12 anni, diventati poi 18 mesi di carcere più domiciliari.
15/3/2010 - La voce dell’uomo che chiamò il bar gestito dai genitori di Mirella Gregori, in via Volturno, assomiglierebbe a quella di chi aveva telefonato a casa Orlandi il 28 giugno 1983. Sarebbe questo uno degli elementi che hanno indotto il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ed il sostituto Simona Maisto ad avviare verifiche sulla ipotesi di un collegamento trai due casi. Al momento, per il caso Orlandi, ci sono tre indagati: Sergio Virtù, ritenuto l'autista del boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, Angelo Cassani e Gianfranco Cerboni. Tutti hanno respinto le accuse. Cassani e Cerboni, che hanno smentito di essere soprannominati 'Ciletto' e 'Giggetto', sono per la procura, gli stessi che avrebbero pedinato Emanuela Orlandi. I due erano particolarmente legati ad una terza persona sulla quale sono in corso accertamenti.
Il Tribunale del riesame ha confermato la custodia cautelare in carcere per Sergio Virtù, 49 anni, detenuto dal 10 marzo scorso a Regina Coeli per reati di truffa. Virtù, ex autista di Enrico De Pedis, è anche indagato nell'inchiesta della Procura di Roma sul sequestro di Emanuela Orlandi, avvenuto nel giugno del 1983. A Virtù erano state inflitte in passato due condanne perché coinvolto in processi per reati di truffa che vedevano imputati i cosiddetti 'colletti bianchi'. L'uomo era stato indicato da Sabrina Minardi, ex amante del boss della Banda della Magliana, Enrico De Pedis e da Fabiola Moretti, ex compagna dell'altro esponente della banda, Danilo Abbruciati, come l'autista di fiducia di Renatino. Secondo quanto riferito ai pubblici ministeri dalla Minardi, Virtù avrebbe avuto un ruolo operativo nel sequestro della ragazza.
Nuova audizione in Procura per la supertestimone Sabrina Minardi, ex compagna del boss della banda della Magliana Renatino De Pedis, sentita nell'ambito dell'inchiesta sul rapimento della cittadina vaticana Emanuela Orlandi. In particolare la Minardi è stata sottoposta ad un confronto all'americana con Assunta Costantini, già amica di Daniela Mobili la proprietaria dell'appartamento a Monteverde dove secondo la supertestimone sarebbe stata tenuta ostaggio per un periodo la Orlandi qualche giorno dopo il rapimento. Un confronto durato circa due ore davanti al Procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al sostituto Simona Maisto che si è incentrato appunto sulla gestione dell'appartamento in questione in via Pignatelli e delle relative chiavi. Nel periodo in cui secondo la Minardi vi sarebbe stata tenuta prigioniera la cittadina vaticana, la Mobili era detenuta e della gestione dell'immobile si sarebbe occupata la Costantini. Visibilmente cambiata rispetto agli anni d'oro della banda della Magliana, la supertestimone ha lasciato gli uffici di piazzale Clodio senza rilasciare alcuna dichiarazione e scortata da due agenti in borghese.
Sabrina Minardi dovrà scontare sei mesi di pena residua in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Questo quanto deciso dal tribunale di sorveglianza di Roma nel 2009 alla luce del cumulo materiale di cinque sentenze definitive di condanna per reati legati agli stupefacenti. Alla supertestimone del caso Orlandi, fino a oggi in regime di protezione, restano da espiare sei mesi di reclusione, tolti i tre anni di indulto e quanto già scontato tra detenzione domiciliare e carcere. Nel 1994 Sabrina Minardi venne rinviata a giudizio con l'accusa di associazione per delinquere finalizzata all'induzione e allo sfruttamento aggravato della prostituzione. ''Nella giornata di ieri - ha dichiarato l’avvocato difensore Federica Pugliese -
All'attivo ha solo piccoli precedenti penali, ma ''Mario'', il telefonista del sequestro di Emanuela Orlandi è, secondo gli inquirenti della Procura di Roma, una persona che sa bene cosa è accaduto nel giugno del 1983 quando la giovane figlia di un dipendente del Vaticano venne rapita. "Mario" è stato ascoltato a lungo dai pm romani i quali stanno cercando di fare luce su una vicenda che a distanza di oltre 25 resta presenta ancora molti lati oscuri. Mario è il nome con cui l'uomo, con un forte accento romano, chiamo' il 28 giugno a casa Orlandi affermando di aver visto Emanuela, dopo la sua scomparsa, insieme ad un'altra giovane ed un uomo che vendevano cosmetici. Secondo quanto ricostruito dal procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo e il sostituto Simona Maisto, ''il telefonista'' non avrebbe avuto un ruolo attivo nel sequestro della quindicenne ma sarebbe a conoscenza dell'intera vicenda. In particolare ''Mario'' avrebbe fornito agli inquirenti notizie anche sui motivi della sepoltura di Enrico De Pedis, detto Renatino e boss della banda della Magliana, presso la chiesa di Sant'Apollinare a pochi passi da Piazza Navona, nel cuore del centro storico di Roma. L'uomo sarebbe entrato nella vicenda del rapimento in quanto amico di alcuni conoscenti di Enrico De Pedis, uno dei boss della banda della Magliana. Per gli inquirenti il sequestro della figlia di un dipendente del Vaticano sarebbe stato organizzato e gestito da De Pedis con suoi uomini di fiducia non appartenenti alla banda che insanguinò Roma tra gli anni settanta o ottanta. I pm nei giorni scorsi hanno ascoltato anche altre persone che avrebbero avuto contatti con la banda della Magliana. Tra queste anche Carlo De Tomasi, figlio di Giuseppe detto Sergione, in passato legato a De Pedis, ritenuto amico intimo di Marco De Pedis, fratello minore di Renatino, e di Sabrina Minardi, la superteste dell'inchiesta che per un periodo e' stata anche la compagna del boss della Magliana. Anche a De Tomasi sono state rivolte domande sulla sepoltura di De Pedis nella chiesa di Santa Apollinare a Roma. Dopo la diffusione di queste notizie da parte delle agenzie di stampa, Giuseppe De Tomasi ha chiamato in diretta "Chi l'ha visto?" per smentire di essere lui "Mario".
Per i magistrati in totale sarebbero state cinque le persone, che con ruoli diversi, hanno partecipato al sequestro di Emanuela, il cui corpo non e' mai stato trovato. Nel registro degli indagati, al momento, restano tre le persone iscritte. Si tratta di Sergio Virtù, 49 anni, Angelo Cassani, 49 anni, detto "Ciletto" e Gianfranco Cerboni, 47 anni, detto "Giggetto". Ai tre gli inquirenti sono arrivati grazie alla testimonianza della Minardi. La donna è il supertestimone grazie al quale gli inquirenti sono riusciti ad identificare ed iscrivere nel registro degli indagati, a quasi trent'anni dalla scomparsa della Orlandi, le tre persone. Virtù era l'autista di fiducia di De Pedis.
E' stato ascoltato nuovamente dai magistrati della Procura di Roma, Carlo Alberto De Tomasi, il presunto telefonista che nel 2005 contattò "Chi l'ha visto?" affermando che per trovare la soluzione del rapimento di Emanuela Orlandi, bisognava andare ''a vedere chi è sepolto nella cripta della Basilica si Sant'Apollinare e del favore che Renatino fece al cardinal Poletti''. In quella chiesa e', infatti, sepolto Enrico De Pedis, uno dei capi della banda della Magliana e ritenuto dagli inquirenti la mente che organizzò e gestì il rapimento della giovane cittadina vaticana. Secondo una consulenza fonica effettuata dalla Procura, inoltre, il padre di De Tomasi, Giuseppe, detto "Sergione", è ritenuto dagli inquirenti essere "Mario", l'uomo che contattò telefonicamente la famiglia Orlandi il 28 giugno del 1983, circostanza da questi però smentita. A rispondere alle domande del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e del sostituto Simona Maisto anche la moglie di Sergione, Anna Maria Rossi. Al centro delle audizioni, stando a quanto si è appreso, i rapporti tra la famiglia De Tomasi e quella di De Pedis. Rapporti che sarebbero sempre stati buoni fino alla morte di Renatino, avvenuta nell'ambito di un regolamento di conti il 2 febbraio del 1990 in via del Pellegrino, nei pressi di Campo de' Fiori. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti fu Sergione ad organizzare il rinfresco del matrimonio tra Renatino e Carla Di Giovanni nel locale "Jackie'O". Carlo De Tomasi era amico di Marco, fratello minore di Enrico De Pedis. Della comitiva di amici faceva parte anche Sabrina Minardi, la supertestimone del caso Orlandi ed ex compagna di Renatino. Luciano, il fratello maggiore di Renatino, rilevò un ristorante nella zona di lungotevere a Ripa, in precedenza gestito da Giuseppe De Tomasi. Furono probabilmente i rapporti economici, sempre secondo quanto si apprende da fonti investigative, la causa della rottura dell'amicizia tra le due famiglie e la molla che avrebbe spinto Carlo De Tomasi, anche se lui nega di essere il telefonista, a fare quella telefonata a "Chi l'ha visto?".
Maurizio Giorgetti, 56 anni, un militante di estrema destra con condanne definitive per reati finanziari, ha contattato "Chi l'ha visto?" per raccontare due episodi a cui avrebbe assistito nel 1983, a circa un mese di distanza l'uno dall'altro. Giorgetti ha raccontato di avere incontrato Angelo Cassani e Giuseppe De Tomasi, che conosceva, in due ristoranti romani e di averne ascoltato le conversazioni. I due avrebbero parlato di un'operazione con una Bmw, "una ragazza da prelevare", come pressione per recuperare 15 miliardi delle vecchie lire affidati da esponenti della banda della Magliana a chi non voleva o non poteva restituirli. Nel secondo episodio, successivo alla scomparsa di Emanuela Orlandi, Giorgetti avrebbe sentito De Tomasi dire a Cassani di utilizzare la propria auto per portare via da Roma una persona. Cassani e De Tomasi, per la Procura di Roma rispettivamente "Ciletto" e "Sergione", sono recentemente entrati nell'inchiesta per la scomparsa di Emanuela Orlandi. De Tomasi, in particolare, è sospettato di essere l'uomo che chiamò casa Orlandi sei giorni dopo il rapimento qualificandosi come "Mario", cosa che l'uomo ha negato chiamando in diretta durante la puntata del 3 maggio 2010.
"Siamo convinti che la Banda della Magliana sappia che fine abbia fatto Emanuela Orlandi". Così il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo. Per far luce sulla sua scomparsa, ha detto Capaldo, titolare degli accertamenti sulla sparizione della ragazza, insieme con il sostituto Simona Maisto - stiamo monitorando attività passate e presenti dell'organizzazione e faremo altrettanto anche per quelle future'. Nella rete degli 'osservati' è finito Manlio Vitale, 61 anni, noto come 'Er Gnappa'. Il monitoraggio di Vitale, già ritenuto legato a Enrico De Pedis ed a Maurizio Abbatino, scaturirebbe dalle testimonianze, tra gli altri, di Maurizio Giorgetti, 56 anni, ex esponente dell'estrema destra romana il quale, sentito a proposito del caso Orlandi, affermò di aver ascoltato due esponenti della Banda della Magliana mentre parlavano del rapimento della ragazza in un ristorante. L'ipotesi prospettata da Giorgetti è che il rapimento di Emanuela potrebbe essere stato attuato con l'obiettivo di recuperare danaro appartenuto a Vitale. "E' confortante sapere che la magistratura continui ad indagare per scoprire qualcosa su Emanuela". Maria Orlandi, la mamma della ragazza scomparsa il 22 giugno del 1983, continua a sperare di avere notizie sulla figlia. In questi giorni si sente "molto addolorata" per la barbara uccisione di Sara Scazzi: "Penso allo strazio di quei genitori. Quella ragazza aveva l'età della mia Emanuela", dice. La notizia che la Procura di Roma punti tutto sulla Banda della Magliana per fare luce sulla scomparsa di Emanuela le dà un pò conforto. Interpellata dall'Adnkronos, la signora Maria afferma: "La speranza di una madre non muore mai anche se 27 anni senza sapere nulla pesano. Ci fa piacere sapere che si continui ad indagare". La mamma di Emanuela, nonostante gli anni trascorsi, continua a sperare e ad appellarsi affinché venga fatta luce sulla vicenda. "In passato - ricorda - papa Wojtyla si prodigo' parecchio per la causa. Gli appelli sono importanti perché aiutano a non fare cadere nel dimenticatoio le persone. Io continuero' sempre a farne, sperando sempre che sia la volta buona".
La tomba di Renato De Pedis, detto "Renatino'', il boss della Banda della Magliana ucciso il 2 febbraio 1990 e sepolto nella basilica di Sant' Apollinare, a Roma, sarà probabilmente aperta. In procura, dove si indaga sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta nel 1983, non trapelano indiscrezioni, ma l'eventuale apertura del sepolcro, secondo quanto si è appreso, appare sempre più vicina alla luce di quanto sta emergendo dalle indagini. L'eventuale riapertura della tomba servirebbe agli inquirenti per cercare possibili elementi utili per il prosieguo degli accertamenti e per rafforzare il collegamento tra la scomparsa della ragazza e De Pedis, indicato dall'ex amante Sabrina Minardi come l'esecutore del rapimento e il responsabile dell'occultamento del cadavere. Alla probabile iniziativa della procura non potrebbero opporsi né il Vaticano, poichè la basilica di Santa Apollinare non è da considerarsi extraterritoriale, né i familiari di De Pedis. Lo spunto per l'apertura della tomba è arrivato, tra l'altro, da una telefonata anonima fatta alla redazione di ''Chi l'ha visto?'' alcuni anni fa: ''Se volete saperne di più su Emanuela Orlandi, guardate nella tomba di De Pedis'' disse lo sconosciuto. Secondo i risultati di una perizia fonetica l'anonimo sarebbe il figlio di una persona legata alla banda della Magliana e in particolare a "Renatino". Ad ogni modo, quel riferimento è stato oggetto di quesiti posti dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e da sostituto Simona Maisto, titolari degli accertamenti, a vari testimoni ascoltati negli ultimi tempi. E nel corso di questi atti istruttori sarebbero emersi ulteriori spunti investigativi. Per la scomparsa della Orlandi, all'epoca dei fatti quindicenne, sono indagate quattro persone; Sergio Virtu', 49 anni, Angelo Cassani, 49 anni, detto ''Ciletto'', Gianfranco Cerboni, 47 anni, detto ''Giggetto'', e Sabrina Minardi.
Un anonimo ha chiamato "Chi l'ha visto?" per mettere in relazione la scomparsa di Mirella Gregori con quella di Emanuela Orlandi: "Non posso al momento attuale né lasciare un recapito né il mio nome. Telefono a proposito del caso di Orlandi-Gregori, dove due scomparse sono opera della stessa mano. Un’esca interna al Vaticano nel caso Gregori, e un informatore sempre interno al Vaticano nel caso Orlandi. Basta che andiate a rivedere la storia e soprattutto cercate di riparlare con (...) amica di Mirella Gregori, lei sa chi è stata l’esca che l’ha fatta rapire. Ok? Vi richiamerò". Durante la diretta la sorella di Mirella Gregori ha lanciato un appello all'anonimo affinché telefoni nuovamente per dire tutto quello che sa.
Il 2 febbraio 2010 il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, ha parlato da solo con Ali Agca ad Istanbul, durante un incontro in un'abitazione privata. Nella puntata di questa sera “Chi l’ha visto ?” diffonde la registrazione di quel colloquio: Eccone uno stralcio:
Ali Agca: “Pietro ascoltami questa è un'occasione unica e ultima per parlare di questa storia, con nessuna illusione, capisci? Sono un uomo libero ormai, non ho bisogno di nulla, nessun potere occulto, allora io vi dirò la verità assoluta. In poche parole sarà per voi una sorpresa inaudita la verità...
Pietro Orlandi: “Siamo abituati a tutto”.
Pietro Orlandi è andato anche a verificare con "Chi l'ha visto ?" il racconto di un uomo, che si fa chiamare "Lupo solitario", che ha rivelato che Emanuela Orlandi è viva e si trova in una clinica di Londra o nei dintorni. Sarebbe sedata e sorvegliata da due medici e quattro infermiere. Il fratello di Emanuela Orlandi riferisce in diretta dalla capitale britannica.
"Io so dov'è Emanuela. È viva e si trova in un manicomio in Inghilterra, nel centro di Londra ed è
sempre stata sedata. Con lei ci sono due medici e quattro infermiere''. L'ultima rivelazione su Emanuela Orlandi è arrivata il 16 giugno con una telefonata al programma “Metropolis” sul canale tv RomaUno. A parlare in diretta un uomo che si è presentato come ex-agente del Sismi, nome in codice “Lupo Solitario”. In trasmissione si parlava del libro 'Mia sorella Emanuela', scritto dal
fratello della Orlandi, Pietro, e dal giornalista Fabrizio Peronaci, nel 28mo anniversario della scomparsa. Secondo l’uomo “la ragazza sarebbe stata prelevata da una Bmw nera, poi lasciata nel sotterraneo del parcheggio dove poi è stata ritrovata. La giovane sarebbe quindi stata trasferita su una Mini verde e sedata; a bordo dell'auto ci sarebbero stati anche un agente inglese e una donna”, come riporta una sintesi diffusa da RomaUno. “Emanuela è passata per la Germania, la Francia e l'Inghilterra - ha detto l'uomo al telefono - a Bolzano invece non è mai passata''. Il sedicente Lupo Solitario avrebbe deciso di parlare a 28 anni dalla scomparsa della Orlandi perché “stuzzicato” e “tirato in ballo con delle falsità”, come ha spiegato, e “a questo punto paga chi deve pagare”, ha affermato, senza chiarire il senso delle sue parole.. Secondo il misterioso testimone, il rapimento di Emanuela Orlandi sarebbe legato a Roberto Calvi, il banchiere coinvolto nel crack del Banco Ambrosiano, trovato impiccato sotto un ponte a Londra nel 1982. Pietro Orlandi è partito per l’Inghilterra con un inviato di “Chi l’ha visto?” per verificare la segnalazione. Inizialmente si era pensato che l’uomo intendesse riferirsi al “Queen Elizabeth II”, trenta chilometri a Nord di Londra, dove si è appurato che effettivamente vi era stata in passato una degente di nome Orlandi ma nata nel 1928. Più tardi, raggiunto di nuovo telefonicamente, “Lupo” ha spiegato che intendeva in realtà riferirsi al “Queen Elizabeth” di Birmingham, un ospedale modernissimo nel cui sito, fino a pochi anni fa, sorgeva una vecchia struttura psichiatrica. I pazienti di questa, in seguito alla demolizione, sono stati trasferiti in altre strutture psichiatriche.
Ai sanitari dell’ospedale è stata mostrata un’immagine dell’invecchiamento di Emanuela Orlandi realizzato dalla polizia scientifica italiana. La direzione dell’ospedale ha fatto sapere che le verifiche sarebbero più celeri se gli inquirenti italiani facessero una richiesta formale a Scotland Yard.
Nel racconto di “Lupo” Emanuela si trovava in una sezione “militare” dell’ospedale. Si è appurato che in quell’ospedale di Birmingham pur non essendoci una vera e propria sezione militare effettivamente vi erano vari degenti militari che tornavano da zone di guerra con traumi psichici. Federica Sciarelli ha rivolto un appello a tutti gli italiani che negli anni hanno avuto a che fare con il Regno Unito e con queste strutture e magari possano fornire dettagli utili a verificare la segnalazione di “Lupo Solitario”.
Nel corso di un incontro avvenuto con Pietro Orlandi nel 2010, Ali Agca ha rilasciato queste dichiarazioni, registrate anche in audio: “[Emanuela] è stata rapita dal governo Vaticano. Soltanto per ottenere la mia liberazione… la decisione è venuta dal governo Vaticano… L’esecuzione del piano è stata fatta in … collaborazione tra la Cia, i servizi segreti americani, e il SISMI, i servizi segreti italiani. L’hanno portata via ma il Vaticano sa tutto… hai capito? Qualcuno per telefonista, l’americano… eccetera… sapete tutta questa storia. Il rapimento… sai chi l’ha fatto? Il governo Vaticano. Questo si chiama Cardinale [omissis]… lui sa”. Il porporato nominato da Agca ha smentito di avere alcun tipo di informazione sulla dinamica del sequestro Orlandi.
Una donna ha contattato “Chi l’ha visto?” e ha detto di aver riconosciuto nella voce del telefonista noto come “l’Americano” quella del gesuita polacco padre Casimiro che molti anni fa lavorava per un’organizzazione che si occupava dei pellegrini che venivano a Roma dalla Polonia. Il religioso intervistato ha detto che non solo non ha nulla a che spartire con la storia ma non conosce nemmeno la lingua inglese.
Undici arresti per usura sono stati effettuati dalla squadra mobile di Roma durante le indagini sul sequestro di Emanuela Orlandi. Proprio grazie all'inchiesta del procuratore aggiunto Gian Carlo Capaldo su i legami tra il caso Orlandi e la Banda della Magliana gli inquirenti hanno scoperto le attività del gruppo di usurai. Tra gli arrestati Giuseppe De Tomasi detto “Sergione”, che secondo gli inquirenti sarebbe il sedicente ''Mario'' che il 28 giugno 1983, sei giorni dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi, telefonò a casa della famiglia. È stato arrestato anche il figlio di De Tomasi, Carlo Alberto, che secondo una consulenza fonica sarebbe la persona che nel 2005 chiamò ''Chi l'ha visto'' affermando che nella basilica di Sant'Apollinare era sepolto Enrico De Pedis, detto Renatino. Nell'operazione, denominata ''Luna nel Pozzo”, sono finiti in manette anche la moglie di Giuseppe De Tomasi, Anna Maria Rossi, la figlia Arianna, la consuocera e il genero.
Il 3 maggio 2010 Giuseppe De Tomasi telefonò in diretta a "Chi l'ha visto?" smentendo di essere "Mario". Quando Federica Sciarelli gli chiese un' intervista lui rispose di essere malato da anni al punto di non poter camminare. Nelle foto diffuse dalla polizia dopo l'arresto lo si vede in macchina mentre gestisce in prima persona i rapporti con le vittime dell'usura.
Il procuratore di Bolzano Guido Rispoli ha indagato il sedicente agente segreto 'Lupo', ossia Luigi Gastrini, che alcune settimane fa aveva fatto rilevazioni sul caso di Emanuela Orlandi, per usurpazione di titolo e simulazione di reato. "Non ci risulta - ha detto Rispoli - che abbia mai fatto parte dell'arma dei carabinieri e dei servizi". 'Lupo' è stato sentito ieri dal procuratore, fornendo una serie di elementi che ora saranno verificati. "Se questi dati non dovessero trovare riscontro, chiederò il suo rinvio a giudizio", così Rispoli categorico. Il procuratore bolzanino ha anche precisato che l'intera inchiesta sul sequestro Orlandi resta in mano ai colleghi romani.
Nuova iniziativa di Pietro Orlandi per fare luce sulla misteriosa scomparsa della sorella Emanuela. In un appello di cui è primo firmatario si rivolge a Benedetto XVI per chiedere il suo aiuto:“Sua Santità, mi rivolgo a Lei nella sua duplice veste di capo di Stato e di rappresentante di Cristo in terra per chiederLe di porre in essere tutto ciò che è umanamente possibile per accertare la verità sulla sorte della Sua connazionale Emanuela Orlandi, scomparsa a Roma il 22 giugno 1983. Il sequestro di una ragazzina è offesa gravissima ai valori religiosi e della convivenza civile: a Emanuela è stata fatta l’ingiustizia più grande, le è stata negata la possibilità di scegliere della propria vita. Confido in un Suo forte e ispirato intervento perché, dopo 28 anni, gli organi preposti all’accertamento della verità (interni ed esterni allo Stato Vaticano) mettano in atto ogni azione e deliberazione utili a fare chiarezza sull’accaduto. Un gesto così cristiano non farebbe che dare luce al Suo altissimo magistero, liberando la famiglia di Emanuela e i tanti che le hanno voluto bene dalla straziante condanna a un’attesa perenne.”
Per aderire all’appello, basta inviare una mail all’indirizzo:
Intervenuto a “Chi l’ha visto?” per ringraziare delle migliaia di adesioni alla petizione on line lanciata per chiedere un intervento del Papa che porti chiarezza e verità sul caso della sorella Emanuela, Pietro Orlandi ha rivelato di aver ricevuto via Facebook un messaggio di cui ha informato gli organi investigativi: “Sembrerebbe che materialmente il sequestro sia stato fatto da De Pedis e i suoi più fidati uomini (tesi Minardi Abbatino e intelligence). Ma la vera svolta la otterresti se Calò che è in regime di 41 bis decidesse di parlare davvero anche in modo umano e diretto. Chiedi all'amministrazione penitenziaria un incontro anche informale. Se arriverai al suo cospetto, cosa quasi impossibile, resta in silenzio e ascolta bene se ti parla in dialetto. Devi cercare di sentire il boss Calò. Vedrai che ti sarà impossibile. Coloro che non lo permetteranno sono compagni d'armi di De Pedis”. L’autore del messaggio si firma “Amico Augusta”.
Un folto gruppo di persone, tra le quali Federica Sciarelli, si è radunato in Piazza San Pietro, sotto la finestra da cui il Papa ha recitato l'Angelus, con in mano la foto di Emanuela Orlandi che tutti conoscono. Rispondevano all'appello lanciato dal fratello Pietro da "Chi l'ha visto?" per ricordare che la sua scomparsa attende ancora una risposta. Mentre il Papa parlava, Pietro ha tenuto lo sguardo fisso su Benedetto XVI, aspettando una parola che però non è arrivata. ''Sono deluso: hanno perso una grande occasione per riscattare 28 anni di silenzi e omerta'', ha detto a caldo, Quando la finestra dell'appartamento papale si è richiusa. Le persone che erano con lui avevano appena finito di scandire a gran voce e ripetutamente il nome di Emanuela. A metà ottobre Pietro ha rivolto al Papa un appello-petizione per chiedere ''verità e giustizia'' sulla vicenda di sua sorella, ricevendo oltre 45 mila adesioni. Il 9 dicembre ha consegnato quell'appello nelle mani del segretario particolare di Benedetto XVI, mons. Georg Gaenswein, con il quale ha avuto un colloquio. Pietro Orlandi spera che il Papa prossimamente possa dire qualcosa che aiuti a "rompere il muro di omerta' che c'é nello Stato italiano e in quello Vaticano".
La petizione per l’appello al Papa per la verità su Emanuela Orlandi ha raggiunto 54.000 adesioni. Lo ha comunicato in diretta Pietro Orlandi che, dopo l'incontro in piazza San Pietro prima di Natale, nei giorni scorsi ha appeso alle antiche statue "parlanti" di Roma, come il Pasquino, i volantini con l’immagine sorridente della sorella per chiedere la "fine dell'omertà" sulla sua scomparsa. Sabato 21 gennaio alle 16 Pietro Orlandi ha annunciato che si recherà insieme a tutti quelli che vorranno sostenerlo in piazza Sant’Apollinare, luogo "che ha visto l’ultima volta Emanuela libera” e nella cui basilica è sepolto Enrico De Pedis. Nel 2010 alla famiglia Orlandi è stato prelevato un campione di Dna in vista dell’ispezione disposta alla tomba. Da allora, ha ricordato Orlandi, nessuno dei parenti ha avuto più notizie dalla procura, nonostante l'aspettativa generata dai magistrati con la loro richiesta.
Come annunciato da Pietro Orlandi nelle ultime puntate di "Chi l'ha visto?", domani pomeriggio i promotori della petizione "Verità e giustizia per Emanuela Orlandi", che ha raggiunto 55.000 adesioni, organizzeranno una nuova iniziativa di sensibilizzazione, dopo quella del 18 dicembre a piazza San Pietro. L'appuntamenteo è per le 16 a Roma in piazza Sant'Apollinare, nella cui cripta è sepolto Enrico De Pedis, portando con sé una foto di Emanuela. "Attendiamo sostenitori da diverse città - spiega Pietro Orlandi - in particolare da Torino, Lugano, Zurigo, Firenze, Bologna, Ferrara, Novara, Imperia, dalle Marche, dall'Isola del Giglio, Avellino, Napoli e Salerno, Catanzaro".
Forte risposta all'appello del fratello di Emanuela Orlandi per la manifestazione davanti alla basilica romana di Sant'Apollinare, dove è sepolto Enrico De Pedis, a fianco alla scuola di musica che Emanuela frequentava e da dove uscì l'ultima volta la sera del 22 giugno 1983. Su un muro accanto alla chiesa è stato appeso un lenzuolo bianco con la scritta "Fuori De Pedis dalla basilica". Di fronte sono stati affissi con delle mollette una trentina di fogli lungo un filo, con la foto di Emanuela Orlandi. Numerosi i cartelli: "Roma non dimentica Emanuela", "Non ci arrendiamo, la verità, deve venire fuori" alcune delle scritte. Nel luglio 2010 era arrivato dal Vicariato di Roma il nulla osta a ispezionare la tomba qualora l'autorità giudiziaria avesse voluto farlo. Nel novembre di quell'anno sembrava che si fosse vicini alla riapertura e notizie in tal senso sono circolate anche in seguito. Venne anche fatto un prelievo del Dna alla famiglia Orlandi. Ma poi non è accaduto nulla. “Quella sepoltura è lo snodo di quel legame omertoso tra Stato, Chiesa e criminalità che 28 anni fa si è portato via Emanuela - ha detto Pietro Orlandi parlando in piazza Sant’Apollinare -. Per sciogliere quel legame servono magistrati senza paura, come Falcone e Borsellino. Autorità politiche non inclini a piegarsi al potere vaticano; e una papa coraggioso e libero”. Tra la folla tanti romani, ma anche molta gente arrivata da altre città italiane che ha aderito alla petizione che il fratello di Emanuela ha fatto circolare da ottobre, che ha raccolto oltre 55.000 adesioni e ha continuato a raccoglierne anche oggi. “Non siamo mai stati così forti”, ha detto Orlandi. Tra chi lo ascoltava, tante ragazze con la fascetta sulla fronte, uguale a quella che Emanuela portava nella foto, ben nota, diffusa dopo la scomparsa. Hanno preso la parola anche Federica Sciarelli, con la sorella di Mirella Gregori e la madre di Cristina Golinucci, che era accompagnata dalla madre di Milena Bianchi. Presenti anche i familiari di altri scomparsi come Giuseppe Ruggiero e Francesca Darima, oltre a Penelope Lazio. Sulla facciata della chiesa è stata apposta la riproduzione di una targa in pietra per ribattezzare simbolicamente il luogo in “Piazza Emanuela Orlandi”. La gente sperava di entrare in chiesa, ma il portone è rimasto sbarrato.
Dopo la manifestazione “Verità e giustizia per Emanuela Orlandi ”del 21 gennaio a Sant’Apollinare, dove è sepolto il boss Enrico De Pedis, e la strana vicenda dell'uomo che fotografava i partecipanti, l'on. Walter Veltroni ha presentato un'interrogazione. Sulla sepoltura di uno dei capi della banda della Magliana all'interno della Basilica, che deve essere stata autorizzata dal ministero dell'Interno Veltroni ha scritto : ''Secondo la normativa dell'epoca art. 341 del Regio Decreto 1265 del 1934, la tumulazione di cadaveri in luoghi diversi dal cimitero poteva avvenire solo in base ad un decreto autorizzativo del ministro dell'Interno, decreto di cui non e' stata mai accertata l'effettiva esistenza''. Per questo Veltroni ha chiesto al ministro, se questo decreto esiste, ''quando e da chi è stato firmato''. Veltroni ha sollevato poi il caso del fotografo: ''Come è emerso da un servizio della trasmissione 'Chi l'ha visto?' del 25 gennaio, la protesta pacifica in ragione dei ritardi dell'inchiesta, sarebbe stata turbata dalla presenza di un uomo, riconosciuto da alcuni manifestanti come un agente delle forze di sicurezza vaticane in borghese, che avrebbe fotografato i presenti con atteggiamento definito intimidatorio''. A questo proposito Veltroni ha chiesto al ministro Cancellieri ''se la presenza dell'agente in borghese sia stata verificata dalle autorità italiane e, in questo caso, se non si ritenga improprio e pregiudizievole l'atteggiamento delle forze di sicurezza vaticane che avrebbero proceduto a identificare cittadini che manifestavano nel territorio italiano''. Intervenendo nell’ultima puntata di “Chi l’ha visto?”, Pietro Orlandi aveva rivelato che durante l’iniziativa “Verità e giustizia per Emanuela”del 21 gennaio a Sant’Apollinare era stato notato un misterioso fotografo. Secondo alcuni manifestanti, che lo avevano fotografato a loro volta, si sarebbe trattato di un membro della vigilanza vaticana. Durante la trasmissione sono state mostrate due immagini dell’uomo e numerosi spettatori hanno risposto all’appello lanciato per identificarlo, chiamando in diretta per accreditare questa ipotesi. Il fratello di Emanuela Orlandi si è rivolto anche direttamente all’uomo affinché chiarisca le ragioni della sua presenza.
Dopo la vicenda dell'uomo che fotografava i partecipanti alla manifestazione “Verità e giustizia per Emanuela Orlandi” del 21 gennaio davanti alla basilica di a Sant’Apollinare da molti spettatori identificato come membro della vigilanza vaticana, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Padre Federico Lombardi, ha inviato a "Chi l'ha visto?" il seguente comunicato:
"In merito a "La manifestazione in Piazza Sant’Apollinare era pubblica e la popolazione era stata pubblicamente invitata a partecipare. Non aveva dunque alcun carattere riservato, e immagini e manifesti erano esposti intenzionalmente in pubblico. Era anche chiaro che in tale manifestazione si sarebbero fatti riferimenti al Vaticano. Poche settimane prima vi era anche stata una presenza organizzata in Piazza San Pietro. Non si vede dunque perché non si dovesse seguire ciò che sarebbe avvenuto in Piazza Sant’Apollinare, senza alcuna intenzione di identificazione di persone (del resto del tutto inutile) e tantomeno di intimidazione, ma riprendendo a fine di documentazione alcune immagini di manifesti e scritte esposti in pubblico proprio perché fossero visti e riportati dai media.
Per quanto riguarda i rapporti fra la Gendarmeria vaticana e le autorità italiane di Pubblica Sicurezza, sono ottimi e assolutamente trasparenti".
Padre Federico Lombardi - direttore della Sala Stampa della Santa Sede
Dopo il comunicato del Vaticano sul gendarme - fotografo a piazza Sant’Apollinare, Pietro Orlandi è intervenuto in diretta a “Chi l’ha visto?”: “Fra poco saranno 29 anni che Emanuela è scomparsa e negli ultimi mesi non c’è stata neanche una parola da parte degli inquirenti, una parola da parte dello Stato Vaticano, c’è stata l’indifferenza più totale. Siccome il papa parla sempre di verità e giustizia, adesso bisogna passare dalle parole ai fatti. La Segreteria di Stato, invece di limitarsi a dire che è meglio non nominare il nome di Emanuela Orlandi, facesse qualcosa, prendesse una posizione sul serio, facesse qualcosa di più, per fare chiarezza: Emanuela è tutt’ora una cittadina vaticana, è iscritta nei registri anagrafici dello Stato Vaticano, è stata rapita perché cittadina vaticana ed è stata rapita sul suolo italiano. È una cosa che dovrebbe interessare loro e se loro non sanno nulla, come sempre dicono, questo dovrebbe essere un motivo in più per pretendere chiarezza. Così gli inquirenti si svegliano, perché si dovrebbero ricordare che l’inchiesta è aperta e se aspettano ancora verrà chiusa per l’ennesima volta e non viene data una proroga. Noi siamo sempre pronti a ricominciare a raccontare la storia dall’inizio. Ne abbiamo cambiati dieci di magistrati, quindi ne possiamo cambiare anche un altro. Ma ci sia finalmente una persona che dica ‘questo è il mio lavoro e voglio arrivare alla fine e voglio fare chiarezza su questa vicenda’”
In un appunto interno al Vaticano del mese di gennaio Padre Lombardi, capo della Sala Stampa della Santa Sede, scrive a proposito della battaglia che Pietro Orlandi sta portando avanti per la verità su Emanuela:
"...restano dei punti oscuri su cui non è facile dare oggi risposta definitiva e documentabile."
E ancora: “Se la non collaborazione con le autorità italiane (almeno in alcune delle forme richieste - rogatorie, deposizione Bonarelli) fosse una normale e giustificata affermazione di sovranità vaticana, o se effettivamente si fossero mantenute riservate delle circostanze che avrebbero potuto aiutare a chiarire qualcosa”.
Riferendosi poi alla sepoltura di Enrico De Pedis nella basilica di Sant'Apollinare, scrive: "… poiché si continua a parlare di presunti interrogativi connessi alla tomba del boss della banda della Magliana "Renatino" a Sant'Apollinare, e poiché mi pare che per parte della Chiesa il card. Vicario abbia dichiarato la disponibilità a lasciar aprire tale tomba, non capisco perché questo non sia ancora avvenuto (forse le autorità italiane non sono sicure che vi sia motivo di farlo...)”.
Nessun ufficio dell'amministrazione dell'Interno venne interessato per rilasciare la documentazione necessaria per consentire la sepoltura di Enrico De Pedis nella basilica di Sant'Apollinare. La vicenda, ha ricordato il ministro, ''si inquadra in un contesto normativo che prevedeva, all'epoca, ai fini autorizzatori, un decreto del ministro della Sanità, di concerto con il ministro dell'Interno, previo parere del Consiglio di Stato'' per consentire la sepoltura di De Pedis. Ma le ricerche fatte, ha proseguito, “hanno consentito di accertare che nessun ufficio di questa amministrazione venne interessato: né la Prefettura di Roma, a cui sarebbe stato necessario indirizzare la richiesta di tumulazione, né la Direzione generale dei culti, che avrebbe dovuto esprimere il parere di competenza”. La mancata attivazione di questa procedura autorizzatoria, ha concluso Cancellieri, “sembra riconducibile alla circostanza che il luogo di ultima tumulazione, la basilica di Sant'Apollinare, gode del regime di extraterritorialità, essendo ubicata nello Stato del Vaticano”.
"Da verifiche effettuate presso gli uffici dell'amministrazione dell'Interno, non risulta che sia stato adottato un decreto né che siano mai stati interessati né la prefettura di Roma, né la Direzione generale dei culti che all'epoca era un'articolazione centrale del Viminale". E' quanto ribadisce il ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri a proposito del caso della sepoltura nella basilica romana di Sant'Apollinare del boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, rispondendo nel corso del 'question time' alla Camera dei deputati a un'interrogazione presentata dal parlamentare del Pd Walter Veltroni, che aveva chiesto "se esiste il decreto del ministero degli Interni che autorizza la sepoltura del boss della Banda della Magliana, Renato De Pedis, nella basilica romana di sant`Apollinare, quando è stato firmato e da chi, e se, assieme a eventuali documenti dei servizi di sicurezza, sia stato consegnato alla magistratura inquirente". "La normativa - ha ricordato Cancellieri - prevedeva che la tumulazione 'privilegiata' dei cadaveri in luoghi diversi dal cimitero fosse assoggettata a un decreto del ministro della Sanità di concerto con il ministro dell'Interno, sentito il Consiglio di Stato e previo parere del Consiglio superiore di Sanità. L'esito infruttuoso delle ricerche - ha aggiunto il ministro - va anche verosimilmente correlato a un ulteriore elemento". Si tratta della disposizione ''di carattere derogatorio e speciale'' prevista dall'articolo 2 del regio decreto 1.055 del 16 giugno 1938 e relativa alle tumulazioni in luoghi collocati all'interno della Città del Vaticano. Questa norma prevede ''testualmente'', ha detto il ministro, che ''l'introduzione delle salme dal territorio del regno d'Italia nello stato della città del Vaticano è autorizzato dal governatore di quello stesso Stato''. legato alla "tumulazione in luoghi collocati all'interno della Città del Vaticano": ovvero che "la basilica di Sant'Apollinare, dove è avvenuta la tumulazione di De Pedis, è appunto ubicata nel territorio vaticano". Inoltre, "sarebbero state rilasciate a suo tempo dal Comune di Roma le autorizzazioni prescritte per la traslazione della salma".
Veltroni aveva chiesto anche "se la presenza dell'agente in borghese durante l'iniziativa di sabato 21 gennaio 2012 davanti alla Basilica di Sant'Apollinare, convocata dal fratello della ragazza, Pietro, per sollecitare l`ispezione della tomba di De Pedis, sia stata verificata dalle autorità italiane e se, in questo caso, non si ritenga improprio e pregiudizievole l'atteggiamento degli agenti dello Stato Vaticano che avrebbero proceduto a identificare cittadini che manifestavano nel territorio italiano". Il ministro ha oggi risposto che " dall'informativa delle autorità di pubblica sicurezza non emergono fatti che abbiano inciso sull'ordine pubblico. Sono comunque in corso indagini per il riconoscimento del presunto agente vaticano che stava scattando fotografie ai manifestanti".
La risposta del ministro non ha soddisfatto l’on. Veltroni che ha invitato il Governo ad "andare veramente fino in fondo: lo Stato italiano prema sullo Stato vaticano perché per la famiglia Orlandi, per la famiglia Gregori e per tutto il paese ora è il momento di conoscere la verità". Veltro ha chiesto quindi di fare ulteriori accertamenti: “'Dal sito stesso della città del Vaticano non risulta che il complesso di Sant'Apollinare sia all'interno delle sedi definite con i criteri dell'extraterritorialità. Ma se anche lo fosse, non posso immaginare che sia un altro Stato a decidere di spostare autonomamente un cittadino italiano - per De Pedis vale il diritto alla sepoltura come per ogni altro cittadino - e collocarlo in una sede di sua responsabilità". Veltroni ha aggiunto: "Non riesco a accettare l'idea che il capo della banda della Magliana, il capo di una struttura criminale protagonista di alcune delle pagine più tragiche nella nostra storia recente, sia sepolto in una delle basiliche più importanti di Roma", citando Giovanni Paolo II, don Puglisi e don Diana come esempi dell'impegno di tanti cattolici per la legalità, concludendo che "grida come uno scandalo la presenza di De Pedis in quella basilica, tanto più se decisa senza i requisiti di legge". Veltroni ha infine accennato al fatto che sono stati recentemente assicurati alla giustizia un padre e un figlio entrambi legati al caso Orlandi: il figlio, secondo quanto riportato dai giornali, è l'autore di una telefonata alla trasmissione "Chi l'ha visto" del 2005 in cui diceva di andare a cercare nella tomba di De Pedis "per sapere di più sulla sorte della ragazza, "il padre è l'autore delle telefonate alla famiglia Orlandi nel 1985. E' chiaro - ha concluso - che c'è qualcosa di molto marcio", considerando che la banda della Magliana "non è un soggetto neutro ma è stata l'agenzia di tante cose sporche" avvenute nel nostro paese.
“Mi sono informato presso autorità competenti e mi hanno riferito che la basilica di Sant'Apollinare non è extraterritoriale né è territorio vaticano. In ogni caso, fosse anche stato territorio della Santa Sede, non si sarebbe potuto seppellire lì un cittadino italiano senza autorizzazione delle autorità italiane: sarebbe stato come sequestrare una salma''. E' stato il commento di Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela.”Sono contento - ha aggiunto Pietro Orlandi che oggi insieme alle sorelle Natalina, Federica e Maria Cristina era alla Camera - che la questione sia arrivata in Parlamento e se ne sia potuto parlare. Ho molto apprezzato l'intervento di Veltroni, che tra l'altro anche ha ricordato Mirella Gregori, l'altra ragazza scomparsa nello stesso periodo di Emanuela. Il ministro Cancellieri ha fatto un intervento estremamente formale, ma era ovvio che fosse così, ce lo aspettavamo. Anzi, sono convinto che su tutta la vicenda il ministro farà degli approfondimenti e mi auguro di poterla incontrare presto”.
Pietro Orlandi si accinge a lanciare un importante appello nella puntata di “Chi l’ha visto ?” di questa sera. . Qualche settimana fa, durante un iniziativa per la petizione “Per la verità su Emanuela Orlandi”, un uomo si è avvicinato e gli ha detto di sapere tutto sulla vicenda della sorella. “Mi ha detto che conosco bene chi ha portato via Emanuela in macchina e di chiedere alla Minardi che era a bordo”. L’appello è a quest’uomo, perché, se ha detto il vero, si faccia vivo e dica tutto quello che sa.
La verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi sarebbe a conoscenza di personalità del Vaticano. E' quanto riferiscono i pm della Procura di Roma titolari dell'indagine, secondo i quali ci sarebbero personaggi ancora in vita che conoscono i misteri legati alla scomparsa della ragazza. Per gli inquirenti ebbero un ruolo alcuni esponenti della banda della Magliana. Nell' inchiesta risultano indagati Sergio Virtù, Angelo Cassani, detto 'Ciletto', Gianfranco Cerboni, detto 'Gigetto'. Inoltre per gli stessi inquirenti, che circa due anni fa hanno svolto un sopralluogo nella cripta di Sant’Apollinare, non sussisterebbe più la necessità di aprire la tomba Enrico De Pedis in quanto si ritiene inverosimile che al suo interno vi possano trovare resti di altre persone. A collegare la scomparsa della Orlandi con uno dei capi della banda della Magliana fu una telefonata giunta a “Chi l'ha visto?” nel settembre 2005. Una voce anonima (che secondo una perizia del 2010 sarebbe da attribuirsi a Carlo Alberto De Tomasi, figlio di “Sergione” coinvolto in indagini sulla Banda della Magliana). Il sopralluogo venne effettuato dal procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo, e svolto dopo l'audizione, quale persona informata sui fatti, di Pedro Huidobro attuale rettore della basilica.
“La posizione dei pm è importantissima. Ora mi aspetto una risposta dal Vaticano: questo silenzio sta diventando imbarazzante. Probabilmente i pm conoscono i nomi di queste personalità vaticane: mi auguro che li ascoltino. E da parte di questi esponenti della Santa Sede mi auguro un'azione spontanea: che siano loro stessi a presentarsi ai pm e a dire quel che sanno'', è stato il commento di Pietro Orlandi. Quanto al fatto che i pm non intendono aprire la tomba di De Pedis, ''mi stupisce perché prima le intenzioni erano differenti, ma non ho mai pensato che lì ci fosse il corpo di Emanuela.
“Le dichiarazioni del procuratore aggiunto Capaldo sul caso Orlandi sono importanti e coraggiose. Ora è interesse di tutti che si vada fino in fondo nell'accertamento della verità che per troppo tempo è rimasta nascosta”, ha dichiarato l’on. Walter Veltroni, primo firmatario dell’interrogazione sulla tomba di De Pedis al ministro dell'Interno.La verità sulla scomparsa di Emanuela Orlandi sarebbe a conoscenza di personalità del Vaticano. E' quanto riferiscono i pm della Procura di Roma titolari dell'indagine, secondo i quali ci sarebbero personaggi ancora in vita che conoscono i misteri legati alla scomparsa della ragazza. Per gli inquirenti ebbero un ruolo alcuni esponenti della banda della Magliana. Nell' inchiesta risultano indagati Sergio Virtù, Angelo Cassani, detto 'Ciletto', Gianfranco Cerboni, detto 'Gigetto'. Inoltre per gli stessi inquirenti, che circa due anni fa hanno svolto un sopralluogo nella cripta di Sant’Apollinare, non sussisterebbe più la necessità di aprire la tomba Enrico De Pedis in quanto si ritiene inverosimile che al suo interno vi possano trovare resti di altre persone. A collegare la scomparsa della Orlandi con uno dei capi della banda della Magliana fu una telefonata giunta a “Chi l'ha visto?” nel settembre 2005. Una voce anonima (che secondo una perizia del 2010 sarebbe da attribuirsi a Carlo Alberto De Tomasi, figlio di “Sergione” coinvolto in indagini sulla Banda della Magliana). Il sopralluogo venne effettuato dal procuratore aggiunto, Giancarlo Capaldo, e svolto dopo l'audizione, quale persona informata sui fatti, di Pedro Huidobro attuale rettore della basilica.
“La posizione dei pm è importantissima. Ora mi aspetto una risposta dal Vaticano: questo silenzio sta diventando imbarazzante. Probabilmente i pm conoscono i nomi di queste personalità vaticane: mi auguro che li ascoltino. E da parte di questi esponenti della Santa Sede mi auguro un'azione spontanea: che siano loro stessi a presentarsi ai pm e a dire quel che sanno'', è stato il commento di Pietro Orlandi. Quanto al fatto che i pm non intendono aprire la tomba di De Pedis, ''mi stupisce perché prima le intenzioni erano differenti, ma non ho mai pensato che lì ci fosse il corpo di Emanuela''.
Ogni ulteriore iniziativa di indagine nel procedimento sulla scomparsa di Emanuela Orlandi sarà diretta e coordinata dal procuratore della repubblica che ha assunto la responsabilità della Direzione distrettuale antimafia''. Lo afferma in una nota il capo della procura Giuseppe Pignatone. Nel comunicato, si precisa inoltre che ''le dichiarazioni e le valutazioni sul procedimento per la scomparsa della Orlandi attribuite da alcuni organi di informazione ad anonimi 'inquirenti della procura di Roma' non esprimono la posizione dell'ufficio''. Il riferimento è alle notizie diffuse ieri circa l'intenzione degli inquirenti di non aprire più la tomba di Enrico De Pedis e che la verità sulla scomparsa della Orlandi sarebbe a conoscenza di personalità del Vaticano.
Intanto sulla tomba di De Pedis ha parlato padre Pedro Huidobro, rettore della basilica di Sant'Apollinare: “Non so fino a che punto possa esistere una relazione tra la scomparsa di Emanuela Orlandi e la sepoltura del boss della Magliana”, ma “se serve a togliere ogni dubbio, per noi la tomba può essere aperta e trasferita altrove anche domani. Anche la famiglia De Pedis si è dichiarata disponibile”. “Tutto ciò che può essere fatto per risolvere la questione ci trova pienamente d'accordo e collaborativi. Va compiuto ogni passo che serva a far chiarezza. Per noi sarebbe motivo di sollievo e ci aiuterebbe a ritrovare tranquillità nella nostra attività quotidiana senza che vengano persone in basilica a chiedere di visitare la tomba di De Pedis”, ha concluso padre Huidobro.
"Aderiamo con convinzione all'iniziativa promossa oggi da Pietro Orlandi, fratello maggiore di Emanuela, la ragazza scomparsa nel pomeriggio del 22 giugno. Roma Capitale parteciperà alla marcia per ricordare Emanuela, la cui immagine sarà esposta in Campidoglio, così come è stato fatto per Sakineh e Rossella Urru, donne innocenti vittime di violenza". Lo ha dichiarato il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. "Sono passati quasi trent'anni dall'oscura sparizione di Emanuela Orlandi. E' arrivato il momento di chiedere con decisione verità e giustizia - ha aggiunto Alemanno - su un caso che ancora stenta a dare risposte chiare e definitive. Un caso che si intreccia con molti capitoli oscuri della storia italiana degli anni Ottanta e che continua ad avvelenare la memoria collettiva del nostro Paese, con un continuo alternarsi di ipotesi, piste e teoremi senza mai approdare a una verità concreta". "Roma Capitale si unisce alla famiglia Orlandi nella richiesta di chiarezza e giustizia, per dare finalmente una risposta non solo ai familiari di Emanuela ma all'intera città, che all'epoca ha fatto da teatro a questi avvenimenti e agli stessi italiani che in tutti questi anni hanno seguito e hanno sentito emotivamente vicino il dramma di questa ragazza" ha concluso il sindaco di Roma. Pietro Orlandi aveva lanciato oggi la sua proposta a Firenze, durante la presentazione della nuova edizione del suo libro ''Mia sorella Emanuela. Sequestro Orlandi, voglio tutta la verità": "Mi piacerebbe dedicare una giornata, il prossimo il 27 maggio, per ricordare a Roma ed anche in altre città mia sorella Emanuela. Penso a una giornata per la verità e la giustizia in Italia, dove tutto questo manca da tantissimo tempo. E in quella stessa occasione organizzare a Roma una marcia per Emanuela che vada dal Campidoglio fino a San Pietro. Inoltre mi piacerebbe che, come si è fatto in altri casi, fosse esposta una gigantografia di Emanuela sul Campidoglio per tutta la giornata del 27 maggio".
Le operazioni sulla tomba e i resti di Enrico De Pedis all'interno della basilica di Sant'Apollinare sono terminate. Gli esami dattiloscopici, resi possibili dal buono stato di conservazione del corpo, hanno confermato che il cadavere nella basilica di Sant'Apollinare è di Enrico De Pedis. “Non avevo dubbi che Emanuela non fosse in quella bara, ha dichiarato Pietro Orlandi uscendo con il suo legale. “Sono state aperte - ha spiegato l'avvocato Piergentili - tutte e tre le bare che custodiscono i resti di De Pedis. La salma è stata scoperta e sono stati eseguiti i prelievi, presumibilmente di tessuto visto lo stato di conservazione del corpo. Oggi è stato fatto un passo importante come importante è la collaborazione tra autorità italiane e Vaticano, un passaggio centrale per fare chiarezza”. L'analisi della salma di Enrico De Pedis e dell'ossario è stata affidata alla dottoressa Cristina Cattaneo del Laboratorio di antropologia e odontologia forense di Milano.
Don Pietro Vergari, ex rettore della Basilica di Sant'Apollinare, dove fu sepolto il boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, è indagato dalla Procura di Roma per concorso nel sequestro di Emanuela Orlandi. L'iscrizione nel registro degli indagati, secondo quanto riferisce l’agenzia Ansa, è avvenuta di recente.
“Questa mattina il corpo di Enrico De Pedis, per autonoma ed esclusiva volontà dei suoi familiari, è stato traslato dal luogo ove era stato legittimamente collocato più di 22 anni fa, ed è stato cremato presso il cimitero di Prima Porta”. Lo hanno reso noto in una nota i legali della famiglia De Pedis, Maurilio Prioreschi e Lorenzo Radogna. “In questo momento di rinnovato dolore - si legge nel comunicato - la moglie e i fratelli, che sin dal 2008 avevano per primi sollecitato tale epilogo, auspicano che abbiano fine tutte le speculazioni politiche e giornalistiche, scientemente alimentate nei confronti di un uomo che, fino a quando ha avuto la possibilità di difendersi, ha sempre visto riconosciuta dalla giustizia italiana la propria innocenza. I familiari ribadiscono la totale estraneità del proprio congiunto a qualsiasi tipo di coinvolgimento nella vicenda relativa alla scomparsa di Emanuela Orlandi”. Pietro Orlandi, appresa la notizia ha commentato: “Noi, da parte nostra, aspettiamo ora l'esito degli esami sulle ossa che si trovano nella cripta di S.Apollinare. E soprattutto ci auguriamo che il Vaticano chiarisca le motivazioni che spinsero il card. Poletti, allora Vicario di Roma, a dare l'autorizzazione a seppellire De Pedis a S. Apollinare“.
Anche l'attuale Rettore della Basilica di Sant'Apollinare, don Pedro Huidobro, dopo la traslazione ha rilasciato una dichiarazione: “Abbiamo sempre assicurato la massima disponibilità sia ai familiari che alle autorità investigative, come dimostrato anche nelle ultime settimane. In tutto questo tempo la Basilica ha avuto con insistenza i riflettori puntati, e ciò non ha risparmiato le visite di tanti curiosi, a danno anche della regolare e serena attività pastorale. Oggi questo capitolo si chiude, come avevamo più volte auspicato anche noi”. “Rinnovo - ha aggiunto il sacerdote - la mia vicinanza alla vedova Carla, per il dolore e il dispiacere che questa lunga vicenda le ha arrecato, soprattutto per le offese gratuite e ingiustificate subite. Per il rispetto che si deve a tutti i defunti, invito a non dimenticare che l'amore misericordioso di Dio è infinito e che soltanto Lui è in grado di giudicare l'animo di ciascuno. Come cristiani siamo chiamati ad affidare l'anima di Enrico e di tutti i defunti alla Divina Misericordia del Signore”. In merito a “eventuali responsabilità personali del passato” Huidobro ha affermato che “c'è la magistratura che sta indagando, l'unica deputata a ciò”.
Un amico di Emanuela Orlandi ha riconosciuto l’uomo che li ha pedinati il 21 giugno 1983, il giorno prima della scomparsa. Nella sua intervista a Chi l’ha visto?”, prima del racconto di quel giorno, l’amico ha ricordato la ragazza scomparsa:
Amico di Emanuela Orlandi: “Noi siamo amici dell’Azione Cattolica vaticana. Eravamo un gruppo un po’ più affiatato che uscivamo qualche volta la mattina. Manuela aveva un carattere molto solare. Infatti noi organizzavamo spesso spettacoli teatrali e lei era la prima volta che veniva. Era molto solare. Molto compagnona. Però fra di noi. Al di fuori non dava confidenza. Prima che dava confidenza doveva conoscerla la persona. Perché Emanuela non era così che si fidava, era molto diffidente.
Ricordo un particolare quando la Roma vinse lo scudetto di tanto tempo fa, un ragazzo si avvicinò perché voleva togliergli la bandiera della Roma. Non può capire che cosa ha fatto, non l’ha fatto proprio avvicinare. Quasi era arrivata ad una colluttazione perché non voleva dargli la bandiera. Poi diceva sempre ‘chi te conosce, vai via’. Se lei avesse avuto un fidanzato ce lo avrebbe detto. Per quanto posso conoscerla lo avrebbe detto perché sarebbe stata contenta e poi ce lo avrebbe fatto vedere, conoscere e cose del genere.
“Chi l’ha visto?” : Voi stavate sempre insieme?
Amico di Emanuela Orlandi: “Sì, stavamo sempre insieme la maggior parte del giorno. Anche perché partecipavamo a questa associazione, quindi eravamo impegnati nel sociale. Molto spesso andavamo a far visita agli anziani, organizzavamo spettacoli per loro a via Cavour, c’era un ospizio. Eravamo la maggior parte del tempo insieme”.
“Chi l’ha visto?”: Frequentava la sua casa, i suoi rapporti con la famiglia com’erano?
Amico di Emanuela Orlandi: “Assolutamente buoni, non vedo motivo di poter dire il contrario. Era molto legata alla famiglia. Hanno scritto che voleva andare via o cose del genere perché non era soddisfatta. Io posso confermare il contrario, non era così”.
“Chi l’ha visto?”: Era una ragazza serena?
Amico di Emanuela Orlandi: “Non ho mai visto Emanuela preoccupata nervosa agitata. Era sempre serena, non l’ho mai vista messa in un angolo a pensare, agiata, nervosa. Era sempre serena. Assolutamente no. La cosa che mi dato più fastidio e mi ripugna essenzialmente, nel senso che giudicare Emanuela salire su questa macchina in modo così facile… mi dà fastidio che considerino Emanuela una ragazza che dava confidenza, che andava con tutti. Questo mi dà profondamente fastidio e mi turba”.
“Chi l’ha visto?”: Tu pensi che sia stata sequestrata?
Amico di Emanuela Orlandi: “ Sì”
“Chi l’ha visto?”: Non pensi ad un allontanamento volontario?
Amico di Emanuela Orlandi: “No”
“Chi l’ha visto?”: Non pensi che possa aver avuto storie di sesso?
Amico di Emanuela Orlandi: “Assolutamente no”
“Chi l’ha visto?”: Lo escludi per la conoscenza che hai di Emanuela
Amico di Emanuela Orlandi: “Non era una persona che dava confidenza al primo che incontrava. Lo escludo nella maniera, non totale. Di più”.
L’episodio del 21 giugno 1983:
Amico di Emanuela Orlandi: “Era il giorno prima della scomparsa. C’eravamo visti la mattina, c’eravamo messi d’accordo per una semplice passeggiata. Eravamo io , Emanuela ed alcuni amici. Avevamo deciso di andare a vedere un negozio, che a quel tempo di chiamava il ‘Gioca Giò’, era un negozio di videogiochi. Eravamo incuriositi, era un’ apertura nuova, una novità. Arrivati davanti all’entrata del Vaticano abbiamo aspettato 10 minuti. Arrivati a Porta Sant’Anna, arrivarono degli amici e dopo 10 min arrivò Emanuela. Salutati, baci e abbracci, come eravamo soliti fare fra di noi, ci siamo voltati. Ma è stata una sensazione di tutti. Nel senso che voltati ci siamo trovati davanti due giovani che ci guardano a debita distanza. Però le ripeto era una sensazione molto, molto strana. Tanto che pure Emanuela si voltò e disse ‘chissà cosa volevano’. Uno era davanti al semaforo che stava di fronte e l’altro dalla parte opposta del semaforo. La cosa che ci aveva incuriosito era che lo sguardo era completamente puntato su di noi. Decidemmo di incamminarci. Però poi lo sguardo è passato. Mi son voltato non so per quale motivo, mi sentivo una sensazione veramente strana e ce li siamo trovati di dietro, tanto che ho fatto: ‘Emanuela mi sa che ti stanno venendo appresso’. Pensavamo che fosse, come dico io in romano, un classico approccio da ‘rimorchio’. Ci incamminammo. Arrivati a piazza Risorgimento, uno ci lasciò. Andò via, e l’altro continuò. Però vi ripeto era molto strano perché ci seguiva proprio a debita distanza ma con uno sguardo proprio diretto su di noi. Tanto che ci siamo detti. Che cosa vuole questo tizio? Abbiamo attraversato viale Giulio Cesare, che questo negozio stava davanti a dove sta adesso la fermata di Ottaviano. Quindi dall’altra parte. Siamo entrati. Siamo stati lì dentro tipo venti minuti. Era un negozio di videogiochi. Siamo usciti e me lo sono ritrovato davanti. Un’altra volta. È che mi ha un po’ incuriosito e anche un po’stranito perché la mia volontà era di andargli a chiedere che cosa voleva. Però siccome sono un po’ timido non ci sono andato”.
“Chi l’ha visto?”: Eri anche un ragazzino quanti anni avevi, 14 - 15?
Amico di Emanuela Orlandi: “Sì, circa 14 anni, neanche. Ritorniamo indietro. Stesso pedinamento, stesso sguardo puntato. L’altro ripeto non c’era più. Riattraversiamo piazza Risorgimento e lui sempre dietro. Torniamo a porta Sant’Anna e lì siamo rimasti ancora 10 minuti a parlare. Poi Emanuela doveva rientrare, aveva la scuola di flauto, era l’ultimo giorno, alla scuola di Sant’Apollinare, ci siamo salutati e come al solito. Appena entrata Emanuela mi sono voltato ed è sparito. Era più grande di noi. Mi ricordo il particolare delle scarpe da ginnastica che indossava, un paio di scarpe ‘Adidas’, molto invidiato da noi giovani, come dicevamo noi ‘super bello’. Bianco, strisce colorate al lato, bordato di oro, marcato ‘Adidas’, una striscia gialla, una arancione, una verde e una blu. E mi ricordo questo particolare dei lacci beige. Lui era vestito jeans cintura marrone, camicia bianca, pettinatura con il gel, tirato all’indietro, capelli castano chiaro. Gli occhi sinceramente non li ho guardati”.
“Chi l’ha visto?”: E l’altro?
Amico di Emanuela Orlandi: “L’altro l’ho visto molto meno, però credo abbia avuto la stessa età. Però mi ricordo il particolare dei jeans, le scarpe erano Clark credo, camicia a mezze maniche, il colore non me lo ricordo, più basso dell’altro. Però con l’altro lo sguardo è stato molto fugace e non gli ho dato molto peso”.
(La sera dopo, la sera del 22 giugno, l’allora 14 enne amico di Emanuela era con altri ragazzi della comitiva davanti a Castel Sant’Angelo. C’era anche Cristina, la minore delle sorelle Orlandi. Emanuela uscita dalla scuola di musica, in piazza Sant’Apollinare, avrebbe dovuto raggiungerli. Avrebbe dovuto attraversare quel ponte, un breve tragitto sul lungotevere e qui avrebbero preso accordi per andare l'indomani mattina al luna park).
Amico di Emanuela Orlandi: “L’appuntamento era verso le 7:20 - 7:30 del pomeriggio. Aspettammo lì sotto fino verso le 8. poi siccome io sono un carattere abbastanza ansioso, ho detto ‘vabbè ragazzi andiamo dall’altra parte’ perché la scuola era dall’altra parte. Avremmo dovuto attraversare il ponte e stavamo là. Alle 8.15 non vedevo nessuno. Ero molto legato ad Emanuela per amicizia, ci prendevamo molto bene caratterialmente. Alle 8.20 sono partito, sono andato io dall’altra parte e ho dato una panoramica, uno sguardo così, alla buona e son tornato indietro e ho detto ‘Guardate ragazzi che Emanuela non è uscita, magari si sarà trattenuta”.
(I ragazzi tornano a casa e solo l’indomani sapranno che Emanuela è scomparsa)
Amico di Emanuela Orlandi: “Poi dopo 2 o 3 giorni circa sono salito da Emanuela e c’era un funzionario dei carabinieri che chiese a mio padre il permesso per portarmi a Via in Selci per fare l’identikit di questa persona, che ho fatto”.
“Chi l’ha visto?”: Di uno solo o di tutti e due?
Amico di Emanuela Orlandi: “Di tutti e due, ma ripeto uno l’ho visto bene, l’altro un po’ meno”.
“Chi l’ha visto?”: Eccoli i due identikit, furono diffusi allora. Oggi sappiamo che raffigurano due persone che avevano seguito Emanuela solo il giorno prima della scomparsa.
Amico di Emanuela Orlandi: “Questo qua!”
“Chi l’ha visto?”: Questo è il ragazzo che l'amico di Emanuela ha visto meglio. Quello con le scarpe belle e il gel nei capelli. Sotto l'identikit c'è scritto 'persona inerente alla scomparsa di Orlandi Emanuela'.
Amico di Emanuela Orlandi: “Ci sono tornato successivamente perché ero stato convocato, per vedere da un vetro, dove l'altra persona logicamente non mi vedeva, per vedere se quella persona che avevano convocato era lui. ma non era lui".
“Chi l’ha visto?”: E non ti hanno detto chi era la persona che avevano convocato?
Amico di Emanuela Orlandi: “No, non me lo hanno detto”.
“Chi l’ha visto?”: Quando sei andato due anni fa davanti magistrato hai raccontato esattamente le stesse cose?
Amico di Emanuela Orlandi: “Due anni fa davanti al magistrato ho raccontato le stesse cose”.
“Chi l’ha visto?”: E come avete verificato che fossero le stesse? Come?
Amico di Emanuela Orlandi: “Lo stesso mi ha fatto un po’ la domanda di ricordarmi l’accaduto, quello che era successo. In linea di massima combaciava con la versione che avevo rilasciato ai Carabinieri”.
“Chi l’ha visto?”: Quando ti hanno convocato due anni fa, hai riconosciuto una foto di una persona?
Amico di Emanuela Orlandi: “Sì”
“Chi l’ha visto?”: Quante foto ti hanno mostrato?
Amico di Emanuela Orlandi: “Una ventina”.
“Chi l’ha visto?”: La foto che tu hai riconosciuto qual è?
Amico di Emanuela Orlandi: “Questa”.
“Chi l’ha visto?”: E di lui ti hanno mostrato foto di varie età anche di quando era molto giovane e tu hai riconosciuto lui. E tu non hai avuto dubbi.
Amico di Emanuela Orlandi: “Assolutamente no". L'identikit è il suo ovviamente. Quello lì. Anche dopo ho riconosciuto sempre lui. L’identikit era sempre di lui. Ovviamente il tempo passa, però. Ho sempre riconosciuto il soggetto, che era appunto quello della foto”.
“Chi l’ha visto?”: Tu sai che questo è uno degli indagati recentemente per la sparizione di Emanuela. Lo sapevi?
Amico di Emanuela Orlandi: “No”.
“Chi l’ha visto?”: Probabilmente anche in base al riconoscimento che hai fatto tu. Questo qui che tu hai riconosciuto si chiama Angelo Cassani, conosciuto anche come “Ciletto”. Abbiamo saputo da racconti che lui fosse in qualche modo vicino alla banda della Magliana faceva il motociclista in particolari azioni. Questo è quanto ci hanno detto altri esponenti della banda.
L'apertura di una indagine interna con l'istituzione di una commissione cardinalizia d'inchiesta analoga a quella istituita per il caso Vatileaks. A un anno dalla prima petizione per Emanuela Orlandi, il fratello Pietro lancia un secondo appello, chiedendo che Oltretevere si attivino strumenti concreti per far luce sulla vicenda. Alla petizione si potrà aderire dal sito creato per l'occasione, www.emanuelaorlandi.it, attivo da oggi. Questa volta il destinatario è il segretario di Stato Vaticano cardinal Tarcisio Bertone: "Eminenza,il rapimento della cittadina vaticana Emanuela Orlandi, avvenuto nel lontano 1983, ha gettato ombre e dubbi sul comportamento del Vaticano, che nel corso di questi tre decenni non ha avuto il coraggio di abbattere quel muro di silenzi e di omertà eretto intorno a questa vicenda. Lo Stato Vaticano ha da sempre rinunciato alla ricerca di una sua innocente cittadina, suscitando lo sdegno di tantissime persone e di tutti quei sacerdoti che ogni giorno si impegnano perché la vita dei più deboli venga rispettata. E' l'ora di un segnale forte di cambiamento. Le chiediamo pertanto di adoperarsi affinché venga aperta un'indagine, interna allo Stato Vaticano, sul sequestro di Emanuela Orlandi, con la conseguente istituzione di una Commissione cardinalizia d'inchiesta che si impegni, con onestà e volontà, a far emergere la Verità su questa vergognosa e disumana storia. Che il sacrificio di Emanuela, viva o morta che sia, e il perenne martirio di una famiglia, servano ad un profondo e radicale cambiamento nelle coscienze di chi, ai vertici delle gerarchie ecclesiastiche, sta portando questa Chiesa sempre più lontana dall'insegnamento di Gesù". "La petizione - spiega Pietro Orlandi - verrà letta ufficialmente sabato 20 ottobre ad Osimo in occasione del primo festival di giornalismo d'inchiesta. La città marchigiana si è impegnata moltissimo per questa causa e dopodomani mi verrà consegnata la cittadinanza onoraria".
Durante la trasmissione Pietro Orlandi ha annunciato che: "La petizione al cardinal Bertone è arrivata a 120.000 firme ma ancora non siamo degni di risposta. Si potrà aderire sempre fino a quando non ci sarà una risposta, sul sito www.emauelaorlandi.it. Speriamo di essere in tanti, perché come dico sempre, se arriviamo ad un millione di persone potremmo portare le autorità a riflettere".
Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, titolare insieme con il sostituto Simona Maisto dell'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, ha disposto l’acquisizione del flauto fatto ritrovare ieri a “Chi l’ha visto?” da un uomo. Lo strumento musicale sarà sottoposto ad una consulenza tecnica per verificare se siano rintracciabili tracce organiche per una eventuale comparazione genetica e per stabilire se siano presenti impronte digitali e a chi appartengano. In merito alle modalità del ritrovamento, sono state verbalizzate le dichiarazioni spontanee dell’inviato di “Chi l’ha visto?” Fiore De Rienzo come persona informata sui fatti.
È indagato dalla Procura di Roma Marco Accetti, l’uomo che ha fatto ritrovare a “Chi l’ha visto?” un flauto dicendo che sarebbe quello di Emanuela Orlandi. Era stato lui stesso a dichiarare al programma di avere a che fare con la sua sparizione e con quella di Mirella Gregori. L’uomo asserisce anche di essere stato uno dei telefonisti, quello che venne denominato l’Americano. Oltre alle verifiche delle sue affermazioni, “Chi l’ha visto?” ha approfondito la vicenda in cui fu coinvolto nel 1983, la morte del bambino uruguaiano scomparso a Roma. Dagli atti del processo, che si concluse con la condanna di Accetti per omicidio colposo e omissione di soccorso, sono emerse le testimonianze di alcuni minori di entrambi i sessi che l'uomo avvicinò a Roma proponendo loro un servizio fotografico. Il programma ha anche rintracciato l'autista Atac che trovò il corpo del bimbo, secondo lui ancora in vita.
[Video - Guarda il caso nella puntata dell'8 maggio]
Secondo indiscrezioni riferite da “Chi l’ha visto?” nel corso della trasmissione, non sarebbero state trovate tracce di Dna sul flauto fatto trovare da Marco Accetti a “Chi l’ha visto?”. Non ancora concluse le analisi su altri tipi di tracce. Nel corso della puntata la dr.ssa Marina Baldi, genetista consulente della famiglia Orlandi, ha descritto la metodologia seguita dalla polizia scientifica per i rilievi sullo strumento.
A “Chi l’ha visto?” ha parlato la madre di Josè Garramon, il bambino investito da Marco Accetti con il suo furgone nel 1983, che si chiede se è possibile riaprire il caso alla luce delle nuove dichiarazioni del fotografo, in contraddizione con quelle rese al processo che lo vide condannato per omicidio colposo e omissione di soccorso. Il console dell’Uruguay dell’epoca, Octavio Brugnini, ha ricordato che riferì al suo governo i suoi forti dubbi sulla tesi dell’incidente.
Dopo aver visto nella puntata dell’8 maggio la fotografia di Accetti del 1983, altre persone hanno contattato il programma per riferire episodi legati alle sue attività in quel periodo.
Uno spettatore ha segnalato un’altra foto dal sito Internet di Accetti, intitolata “Lasciare i corpi”, che raffigura un cadavere abbandonato e un uomo che ritorna verso un furgone con il portellone posteriore aperto. Una immagine che appare inquietante alla luce di quanto Accetti dichiarò quando venne fermato, sporco di sangue, e gli fu detto che aveva investito un bambino.
Sul flauto fatto ritrovare da Marco Accetti a “Chi l’ha visto?” non sono state rilevate tracce genetiche di Emanuela Orlandi perché è vecchio e non ben conservato. Non è stato trovato Dna di nessun altro, forse l’ipotesi peggiore che non aiuta i familiari a sciogliere i dubbi sulla credibilità di Accetti. Colpisce però la somiglianza della sua voce con quella del cosiddetto “Americano”, l'uomo che telefonò varie volte subito dopo la scomparsa, mai nel periodo in cui Accetti fu detenuto. In particolare alcuni spettatori hanno richiamato l’attenzione su una locuzione che entrambi utilizzano:”Questo si”.
Dopo l’appello della madre di Josè Garramon, “Chi l’ha visto?” continua a confrontare le dichiarazioni recenti di Marco Accetti con quelle che fece al processo per l’investimento mortale del bambino uruguaiano nel 1983. Emergono coincidenze sorprendenti e interrogativi lasciati senza risposta dalla sentenza di condanna per omicidio colposo e omissione di soccorso. In base alla ricostruzione del programma, la sera che sparì il piccolo José avrebbe potuto teoricamente incrociare Accetti intorno alle 19, mentre tornava casa. Gli orari e il tragitto messo a verbale dall’uomo stesso sono compatibili con questa ipotesi, che non fu approfondita. Così come non fu chiarito come il bambino percorse i circa 30 chilometri di strada tra casa sua e il luogo dove fu trovato.
[Video - La puntata del 22 maggio]
Si è rivolta a un avvocato, Fabio Maria Galiani del Foro di Roma, la famiglia di Josè Garramon, il bambino uruguaiano investito da Marco Accetti nel dicembre 1983. L'avvocato Galiani ha già iniziato le sue indagini difensive, contattando la procura e parlando con il magistrato che ha indagato Marco Accetti nell'ambito dell'inchiesta sulla sparizione di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. L'avvocato ha anche intenzione di interrogare lui stesso Marco Accetti, così come previsto dal codice, se lui acconsentirà, alla presenza del suo legale. L'intenzione della famiglia Garramon è quella di far riaprire il caso, dal momento che è stato lo steso Accetti a presentarsi e a dire che le cose non sono andate così come è stato scritto nelle sentenze.
Intanto dall’analisi dei documenti processuali continuano a emergere dettagli che sembrano rimandano ad alcuni enigmi dei casi di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Nell’agenda di Accetti venne trovato il numero di un’adolescente che avrebbe pubblicato un annuncio per scambiare dei poster su un numero di “Gioia Candy” del 1983.
Dagli atti risulta che la stessa ragazzina ricevette la telefonata di uno sconosciuto che le chiedeva: “se acconsentiva che sul suo corpo nudo venissero effettuati atti di libidine nelle parti genitali, ciò le avrebbe fatto guadagnare la somma di lire 200.000.” “Chi l’ha visto?” ha lanciato un appello agli spettatori che hanno copie della rivista del 1983 per verificare eventuali altri annunci. In un verbale di interrogatorio la moglie di Marco Accetti dichiarò di essere stata ospite del fratello a Boston ininterrottamente dal 2 agosto al 10 novembre 1983, ininterrottamente. Il 22 settembre di quell’anno fu fatto pervenire, in un busta con un timbro postale di Boston, un comunicato sul caso Orlandi che il “Corriere della sera” il 4 giugno 2012 ha rilanciato come possibile collegamento tra il sequestro e lo scandalo dei preti pedofili a Boston.
[Video - Il caso nella puntata del 29 maggio 2013]
Dopo che le scienze forensi non hanno potuto confermare né escludere che il flauto fatto ritrovare da Marco Accetti sia davvero quello di Emanuela Orlandi, una spettatrice di “Chi l’ha visto?” ha fatto notare che l’astuccio con l’interno di stoffa rossa è molto simile a quello mostrato per tanti anni dal programma all’interno delle ricostruzioni degli ultimi momenti prima della scomparsa. Un dettaglio che potrebbe avere ispirato l’organizzatore del ritrovamento.
Per valutare la credibilità delle dichiarazioni di Marco Accetti sul suo coinvolgimento nei sequestri di Mirella Gregori e Emanuela Orlandi non restano che i documenti della vicenda, quasi contemporanea, della morte del piccolo José Garramon. Lo stesso Accetti dichiara oggi che i fatti non andarono come stabilito dai giudici che all’epoca gli credettero, nei processi in cui fu condannato per omicidio colposo e omissione di soccorso. Sentenze che non spiegarono come il bambino fosse arrivato nel luogo dove fu investito. Un aspetto che vogliono chiarire soprattutto Maria Laura Bulanti e Carlos Garramon, i genitori di José, tornati per questo in Italia e ospiti in studio durante la trasmissione. Oggi come allora sono convinti che mai il figlio si sarebbe allontanato spontaneamente, come il padre scrisse al magistrato responsabile delle indagini: “Dopo la conversazione avuta nei giorni scorsi, è mio desiderio ribadirle, come padre del piccolo Josè Garramon che mio figlio non ha mai causato problemi di condotta durante i suoi brevi anni di vita. Mia moglie e io non abbiamo mai avuto da lui una bugia o una informazione inesatta e siamo sempre stati tenuti al corrente, con scrupolosa precisione, dei suoi impegni, delle persone con cui usciva. Fu proprio questo suo carattere che ci ha posto in allarme, il giorno della sua scomparsa, inducendoci a iniziare una disperata ricerca dopo meno di un’ora dall’orario di chiusura del negozio del barbiere dove si era recato. Confido che la sua alta capacità professionale, per il bene di questa società e allo scopo di alleviare il nostro dolore, saprà rispondere ai tanti interrogativi e trovare la ragione che spieghi una così grande e immeritata ingiustizia”. La madre di José ha ricordato che il bambino aveva avuto negli ultimi tempi delle crisi di pianto mai spiegate. Un racconto confermato anche dalla governate di casa Garramon, Martha Garcia, che ha rivelato un episodio importante verificatosi un mese prima della morte di José, che lei ha collegato al caso dopo la trasmissione a “Chi l’ha visto?” degli atti del processo. Un giorno che era sola in casa, un uomo che aveva bussato alla porta le disse: “Sono il fotografo, devo consegnare le foto dei bambini”. La donna ritiene di aver riconosciuto quel sedicente fotografo in alcune delle foto dell’epoca che ritraggono Marco Accetti. Immagini che non sarebbero state mostrate ai compagni di scuola di José Garramon, come ha riferito al programma uno di quelli che furono sentiti dagli inquirenti. Un’altra compagna, che allora era la fidanzatina di José, ha chiamato il programma lamentando invece di non essere stata mai nemmeno ascoltata. “Chi l’ha visto?” ha rinnovato quindi l’appello a chi frequentò la scuola di Josè a mettersi in contatto come hanno fatto due loro.
“La verità è in cammino e nessuno potrà fermarla. La verità rende liberi''. Dietro questo striscione hanno sfilato da piazza Sant'Apollinare centinaia di persone che hanno aderito alla fiaccolata organizzata da Pietro Orlandi nel trentesimo anniversario della scomparsa della sorella Emanuela. Oltre alle fiaccole alcuni avevano palloncini colorati con su scritto “Ritorno a casa” e indossavano magliette bianche con l’immagine di Emanuela e le frasi “È viva perché continuiamo ad amarla” o “Chi dimentica cancella... noi non dimentichiamo”. Alcuni cartelli hanno ricordato anche Mirella Gregori. Con il percorso seguito il corteo ha voluto simbolicamente riportare a casa Emanuela, dal portone da cui trenta anni fa, finita la lezione di musica, si sarebbe dovuta incamminare verso il Vaticano, fino a San Pietro. All’arrivo Pietro Orlandi, ha commentato: “E' la prima volta che facciamo una veglia in piazza S.Pietro”, mentre alcuni partecipanti scandivano il nome “Francesco, Francesco”, rivolti al Papa. Si sono levate delle lanterne luminose di carta e con alcune candele è stato disegnato il numero 30 sovrastato da un cuore.
Luigi Gastrini, il sedicente agente segreto 'Lupo', è stato condannato a Bolzano a 8 mesi per simulazione di reato per le sue dichiarazioni su una pista altoatesina per la scomparsa di Emanuela Orlandi. La procura ha appurato che l'uomo non ha mai fatto parte dei Servizi né sono stati trovati riscontri alle sue dichiarazioni.
Non è possibile estrarre alcun profilo genetico dai capelli inviati con lettere anonime a un’amica di Emanuela Orlandi e alla sorella di Mirella Gregori. È questo il risultato della consulenza tecnica svolta su incarico dei pubblici ministeri dal prof. Emiliano Giardina dell'Università di Tor Vergata.
La sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha giudicato inammissibile il ricorso della madre di Emanuela Orlandi contro l'archiviazione dell'indagine della procura di Roma. Nell'ottobre scorso il gip aveva respinto l'opposizione, avanzata anche dai familiari di Mirella Gregori, alla richiesta di archiviazione del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e dei pm Simona Maisto ed Ilaria Calò. La decisone riguarda i sei indagati per concorso in omicidio e sequestro di persona: monsignor Pietro Vergari, Sergio Virtù, Angelo Cassani, Gianfranco Cerboni, Sabrina Minardi e Marco Accetti. Contro di loro la procura e il gip prima e la Cassazione ora hanno ritenuto che non fossero stati raccolti sufficienti elementi probatori. Restano pendenti le accuse di calunnia e autocalunnia per Accetti, che nelle scorse settimane è stato sottoposto a perizia psichiatrica che l'ha giudicato capace di intendere e volere ed anche di stare in giudizio.
Pietro Orlandi: "Sono 35 anni senza verità. Il 22 giugno sit-in per Emanuela, autorizzato dalla Questura, in Piazza Giovanni XXIII a Roma dalle 18.30 alle 20.30. Abbiamo anche autorizzazione del Vaticano per una fiaccolata in Piazza San Pietro al termine. Speriamo di essere in tanti".
"Siamo sempre stati convinti che la prima telefonata dei rapitori fosse stata il 5 luglio, cioè dopo che Giovanni Paolo II aveva già lanciato un appello per Emanuela. Invece era arrivata il giorno stesso della scomparsa”. La rivelazione di Pietro Orlandi nel giorno in cui 35 anni fa spariva la sorella Emanuela Orlandi e lui ha organizzato un sit-in e una fiaccolata per ricordarla e chiedere giustizia. "Noi - ricorda - neanche avevamo fatto la denuncia -, perché il giorno stesso ci dissero di aspettare, mentre il Papa veniva avvisato in Polonia dove si trovava per un viaggio. Mi sono sempre chiesto, ma possibile che avvisano il Papa per una ragazza che ha fatto tardi a casa? E invece una risposta ce l'ho adesso, perché loro già sapevano di questa telefonata". “Emanuela - continua Orlandi - è scomparsa alle 19 e 15 circa. Tra le 20 e le 21 è arrivata la prima telefonata, prima al centralino poi alla sala stampa vaticana dove annunciavano il rapimento e dicevano di voler parlare con la Segreteria di Stato. Noi in quel momento neanche sapevamo che cosa fosse successo a Emanuela, mentre in Vaticano già sapevano che c'era stata questa chiamata e l'hanno nascosto fino ad oggi. Mi domando perché. Questi elementi potevano essere importanti già all'epoca e questo fa capire anche perché Giovanni Paolo II nell'appello del 3 luglio parlò subito di 'responsabili' e fece riferimento ai rapitori: perché già avevano avuto contatti la sera stessa". Pietro Orlandi conclude appellandosi direttamente Papa Francesco: "Ci aiuti, lui può chiudere questa storia".
Durante "alcuni lavori di ristrutturazione di un locale annesso alla Nunziatura apostolica in Italia, sito in Roma in via Po 27, sono stati rinvenuti alcuni frammenti ossei umani" spiega un comunicato della sala stampa vaticana. Il Corpo della Gendarmeria, continua la nota, è "prontamente intervenuto sul posto informando i Superiori della Santa Sede che hanno immediatamente informato le autorità italiane per le opportune indagini e la necessaria collaborazione nella vicenda". Allo stato attuale, spiega il Vaticano, il procuratore capo di Roma, dottor Giuseppe Pignatone, ha delegato la polizia scientifica e la squadra mobile della questura di Roma al fine di "stabilirne l'età, il sesso e la datazione della morte". la procura di Roma procederà per omicidio disponendo comparazioni genetiche per verificare se le ossa possano essere compatibili con il Dna di Emanuela Orlandi, ma anche di Mirella Gregori.
[L'elenco delle ossa trovate alla Nunziatura Apostolica di Roma]
[VIDEO - LA PUNTATA DEL 31 OTTOBRE 2018]
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Roma, 23/11/2018 - Le ossa trovate il 29 ottobre in una dependance della Nunziatura Apostolica a Roma hanno una datazione antecedente al 1964 e sono di un uomo. Non appartengono dunque a Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Lo hanno rivelato gli esami svolti nei laboratori della polizia scientifica nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Roma: da un femore è stato isolato un Dna inutilizzabile per la comparazione, perché deteriorato, ma che presenta il cromosoma Y che caratterizza il sesso maschile. Le prime risultanze sulla datazione delle arrivano invece dagli esami sui resti della calotta cranica e del radio, un osso dell’avambraccio, eseguiti col metodo del carbonio 14 in laboratori specializzati a Caserta. Gli esperti hanno stabilito che le ossa sono antecedenti al 1964 in base al “bomb effect” ovvero l’effetto causato dal divieto, sancito nel 1963, di effettuare i test nucleari nell’atmosfera che altera drasticamente la presenza di radio carbonio su ossa e qualsiasi altro campione organico rinvenuto.
Roma, 30/1/2019 - "Risalgono a un periodo compreso tra il 90 e il 230 dopo Cristo" le ossa ritrovate a ottobre sotto la guardiania della Nunziatura Apostolica in via Po. Il quotidiano "Il Tempo" dà notizia della conclusione degli accertamenti scientifici sulle datazione affidati dalla procura a un istituto specializzato. "Apprendiamo ancora una volta la notizia dalla stampa - commenta a "Chi l'ha visto?" Pietro Orlandi - quando non ci è ancora stato fatto leggere nessun documento ufficiale". "La mia famiglia - continua - cerca Emanuela da 35 anni e siamo gli ultimi a essere informati. Leggo che le ossa che in un primo momento sono state attribuite a mia sorella avrebbero in realtà 2000 anni. Mi colpisce molto il fatto che nei primi giorni era stato detto che le ossa erano recenti". "Possibile - si chiede - che non si capisca subito se sono resti recenti o archeologici? Quando fu aperta la tomba di Enrico De Pedis e furono analizzate le ossa della cripta della Basilica di Sant’Apollinare furono scartate subito le ossa vecchie di 300 anni". "Come mai - si domanda ancora - stavolta hanno parlato di ossa recenti ed è stato fatto il nome di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori se sono ossa di epoca romana?". Piero Orlandi chiede ulteriori accertamenti: "Da uno dei reperti è stato estratto un Dna maschile, ma per me i dubbi restano sugli altri frammenti a cui non è stato possibile attribuire il sesso". "Mi aspetto - ha concluso - che qualcuno dia una spiegazione su come ossa di 2000 anni potessero trovarsi a 20-30 cm sotto il pavimento alcune di esse addirittura inglobate nel cemento". "Abbiamo sperato in una conclusione della vicenda, ma le ragazze non devono essere dimenticate", è stato il commento di Antonietta Gregori, in diretta durante la striscia quotidiana delle 11:30, che ha lamentato anche lei di non essere stata informata ufficialmente sull'esito delle analisi.
Roma, 10/04/2019 - Il Vaticano ha deciso di aprire "un’indagine interna sulla scomparsa di Emanuela Orlandi". Lo ha reso noto Laura Sgrò, avvocato di Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, secondo la quale la Segreteria di Stato ha “autorizzato l’apertura di indagini”. Gli accertamenti riguarderebbero una tomba del cimitero teutonico all’interno della Città del Vaticano, che una lettera anonima giunta alla famiglia indicherebbe come luogo di sepoltura di Emanuela Orlandi. "Al momento non ho comunicazioni ufficiali al riguardo. Mi riservo di darle se ce ne saranno”, ha commentato il direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti.
“Nei giorni scorsi – ha spiegato l’avvocato Sgrò - il promotore di giustizia del Tribunale vaticano, Gian Piero Milano, a margine di un incontro pubblico, aveva dichiarato che il Vaticano si stava occupando della vicenda. Come legale dei familiari, ho chiesto informazioni e ho avuto conferme ufficiali del fatto che tramite il tribunale e tramite la gendarmeria vaticana sono state avviate le indagini. Posso dire che gli accertamenti sono già in una fase operativa”. “Nei mesi scorsi abbiamo incontrato il segretario di Stato, Pietro Parolin, con il quale abbiamo parlato del caso di Emanuela e abbiamo presentato le nostre richieste”, ha riferito Pietro Orlandi. “Dopo 35 anni di mancata collaborazione – ha aggiunto – l’avvio di un’indagine è una svolta importante”. “Al momento non ho comunicazioni ufficiali al riguardo. Mi riservo di darle se ce ne saranno”, commenta il direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti.
Roma, 22/6/2019 - "Non rinunceremo mai alla verità, ancora non mi dicono nulla. Tra dirmi 'la prossima settimana ti convochiamo e verbalizzi tutto quello che vuoi dire', e non dare più un cenno... non vorrei essermi ritrovato difronte al solito muro di gomma". Lo ha detto all'ANSA Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, al sit-in nel 36mo anniversario della scomparsa, organizzato a piazza Sant'Apollinare, dove fu vista l'ultima volta. "Il magistrato Capaldo mi ha detto che è disponibile a essere ascoltato. Il Papa? Per me, in questa vicenda, è stato una delusione".
Città del Vaticano, 2/7/2019 - Con un decreto del 27 giugno, l'Ufficio del Promotore di Giustizia del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano ha disposto l'apertura di due tombe del Cimitero Teutonico. Nella sua denuncia la famiglia di Emanuela Orlandi nei mesi scorsi aveva chiesto di effettuare verifiche proprio nel piccolo Cimitero all'interno del territorio dello Stato Vaticano.
"La decisione - ha spiegato all'Ansa il direttore della sala stampa vaticana, Alessandro Gisotti - giunge dopo una fase di indagini nel corso della quale l'Ufficio del Promotore, con l'ausilio del Corpo della Gendarmeria, ha svolto approfondimenti tesi a ricostruire le principali tappe giudiziarie di questo lungo doloroso e complesso caso. Va ricordato che per ragioni di carattere giuridico l'autorità inquirente vaticana non ha giurisdizione per svolgere indagini sulla scomparsa, avvenuta in Italia, di Emanuela Orlandi; indagini che peraltro sono state condotte dagli inquirenti italiani, sin dalle prime fasi, con scrupolo e rigore professionale. Pertanto, l'iniziativa vaticana riguarda soltanto l'accertamento della eventuale sepoltura del corpo di Emanuela Orlandi nel territorio dello Stato vaticano. In ogni caso, le complesse operazioni peritali fissate per il prossimo 11 luglio sono solo la prima fase - sottolinea il portavoce vaticano - di una serie di accertamenti già programmati che, dopo l'apertura delle tombe e la repertazione e catalogazione dei resti, porteranno alle perizie per stabilire la datazione dei reperti e per il confronto del Dna".
Le operazioni di apertura delle tombe si svolgeranno l'11 luglio, alla presenza dei legali delle parti, oltre che dei familiari di Emanuela Orlandi e dei parenti delle persone seppellite nelle tombe interessate, con l'ausilio tecnico del professor Giovanni Arcudi, del Comandante della Gendarmeria Vaticana, Domenico Giani, e di personale della Gendarmeria.
Roma, 11/7/2019 - "Le ricerche hanno dato esito negativo: non è stato trovato alcun reperto umano, né urne funerarie". Il direttore della sala Stampa Vaticana Alessandro Gisotti ha comunicato l'esito ufficiale delle verifiche in due tombe al Campo Santo Teutonico, concluse alle 11:15. "Sotto la prima tomba è stato trovato un locale di circa quattro metri per tre completamente vuoto. Anche il sarcofago vicino era vuoto", ha riferito Pietro Orlandi, che ha partecipato alle operazioni insieme al suo legale Laura Sgrò.
Città del Vaticano, 28/7/2019 - "Si sono concluse le operazioni al Campo Santo Teutonico nell'ambito delle incombenze istruttorie del caso Orlandi. Il professor Giovanni Arcudi coadiuvato dal suo staff, alla presenza del perito di fiducia nominato dalla famiglia Orlandi, ha completato l'analisi morfologica dei reperti ritrovati negli ossari (diverse centinaia di strutture ossee parzialmente integre e migliaia di frammenti). Nel corso degli accertamenti di antropologia forense, il Prof. Arcudi non ha riscontrato alcuna struttura ossea che risalga ad epoca successiva alla fine del 1800". Con questa nota la Sala Stampa Vaticana ha comunicato l'esito delle prime analisi sulle ossa ritrovate sotto una tomba del Cimitero Teutonico, dopo una segnalazione anonima che indicava la possibilità che vi fossero i resti della ragazza scomparsa nel 1983. "Il consulente di parte della famiglia Orlandi - continua la nota - ha chiesto accertamenti di laboratorio su circa 70 reperti ossei; il professor Arcudi e la sua equipe non hanno avallato la richiesta perché le medesime strutture ossee hanno caratteri di datazione molto antichi". "Nel dare comunicazione di queste operazioni - conclude la nota vaticana -, la Santa Sede conferma la propria volontà di ricerca della verità sulla vicenda della scomparsa di Emanuela Orlandi e smentisce categoricamente che questo atteggiamento di piena collaborazione e trasparenza possa in alcun modo significare, come da alcuni talvolta affermato, una ammissione implicita di responsabilità".
“Il Vaticano - ha scritto più tardi Pietro Orlandi sul suo profilo Facebook - ha imposto il segreto istruttorio alle attività svolte al cimitero teutonico ai presenti, per cui, al momento né il nostro legale, l’Avvocato Laura Sgrò né i consulenti tecnici né noi familiari, possiamo rilasciare delle dichiarazioni. Quando riterremo ciò possibile, comunicheremo le nostre posizioni, indicando le attività che intendiamo immediatamente svolgere”.
Anche le analisi disposte dalla famiglia di Emanuela Orlandi confermano che non appartengono a lei le ossa repertate nel Cimitero Teutonico, in un vano sottostante la "tomba dell’angelo", segnalata come sepoltura della ragazza scomparsa. Lo rende noto l’avvocato Laura Sgrò. Le analisi eseguite in due laboratori e dal genetista Giorgio Portera, consulente di parte, hanno datato i frammenti più recenti agli anni successivi al 1900. Dopo l’archiviazione da parte del Vaticano, la famiglia Orlandi aveva disposto accertamenti scientifici privati, contestando la decisione perché presa dopo un esame delle ossa fatto solo a vista.
Nuove indagini disposte dal Promotore di Giustizia Alessandro Diddi e dalla Gendarmeria. A quanto apprende Adnkronos, saranno riesaminati tutti i dati processualmente acquisiti, i documenti, le segnalazioni, le informative, le testimonianze, e si seguiranno nuove piste e vecchie indicazioni all'epoca non troppo approfondite, “nel solco della ricerca della verità e della trasparenza a tutti costi voluta da Papa Francesco”.
Alla richiesta di una conferma delle indiscrezioni giornalistiche il direttore della sala stampa vaticana Matteo Bruni ha scritto al programma quanto segue: "Mi sono confrontato con il promotore che mi ha confermato di aver aperto un fascicolo, anche sulla base delle richieste fatte dalla famiglia in varie sedi".
L’Ufficio del Promotore di Giustizia Vaticano conferma che l’11 aprile riceverà il fratello. “L’incontro è stato richiesto da quest’ultimo, che sarà accompagnato dal proprio avvocato, al fine di rendere proprie dichiarazioni e offrire eventuali informazioni in suo possesso nell’ambito del fascicolo aperto dal Promotore di Giustizia Vaticano a gennaio di quest’anno, a seguito di alcune recenti dichiarazioni sulla scomparsa della sorella. L’Ufficio del Promotore conferma la volontà della Santa Sede di fare chiarezza sulla vicenda, anche alla luce delle recenti dichiarazioni di Pietro Orlandi, intraprendendo ogni azione possibile al fine di giungere ad una ricostruzione accurata degli eventi, per quanto di propria competenza”.
Emanuela Orlandi: “Per la prima volta in 40 anni sono stato interrogato in maniera approfondita. Ho fatto i nomi delle persone che dovrebbero essere ascoltate”. Il fratello Pietro dopo la prima audizione davanti al Promotore di Giustizia Vaticano, come persona informata sui fatti. “Vista la volontà di fare chiarezza qualunque sia la verità”.
“Da Pietro Orlandi nessuna accusa, ha chiesto solo che la ricerca della verità non abbia condizionamenti”. Comunicato dell’avvocato Laura Sgrò, legale del fratello di Emanuela. “Ha ritenuto, accogliendo l'invito del Santo Padre di volere fare piena luce sulla vicenda, di condividere con gli inquirenti tutte le informazioni in suo possesso. Tutte, nessuna esclusa. In quest'ottica ha messo a disposizione del Promotore di Giustizia quanto di sua conoscenza, anche i fatti più scomodi, appresi nel corso degli anni, lasciando ovviamente agli inquirenti le valutazioni e gli approfondimenti necessari per verificarne la fondatezza. Non ha inteso formulare accuse nei confronti di alcuna persona”.
“Pietro Orlandi finalmente sentito per la prima volta dopo 40 anni, ha consegnato lista nomi, non ha accusato Wojtyla. Attaccare il segreto professionale è attaccare la libertà e la ricerca indipendente della verità”. Comunicato dell’avvocato Laura Sgrò, legale della famiglia, inviato a Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione; Andrea Tornielli direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione; Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa della Santa Sede Vatican News: “Ho appreso oggi, da dichiarazioni che sarebbero state fatte circolare dalla Sala Stampa Vaticana e da articoli pubblicati da Vatican News anche a mezzo social network, quanto segue: "Accuse a Wojtyla. Pietro Orlandi e l'Avvocato Sgrò si rifiutano di fare i nomi". Tale affermazione non corrisponde al vero. Intendo a riguardo che sia fatta piena luce. Il mio assistito, Signor Pietro Orlandi, è stato ascoltato per ben otto ore l'11 aprile u.s. dal Promotore di Giustizia, Prof. Alessandro Diddi, al quale ha presentato una corposa memoria corredata da un elenco di ventotto persone, chiedendo motivatamente che siano presto ascoltate. Il Signor Pietro Orlandi, inoltre, si è reso pienamente disponibile a fornire ogni altro chiarimento a richiesta dello stesso Promotore di Giustizia. Per quanto mi riguarda, questa mattina sono stata convocata dal Promotore di Giustizia, dal quale mi sono prontamente recata. Il Promotore mi ha mostrato una mia istanza dell'11 gennaio u.s. nel quale Pietro Orlandi e io, in qualità di avvocato della famiglia Orlandi, chiedevamo un incontro per presentare le prove in nostro possesso. Ho chiarito, come era già chiaro, al Promotore che evidentemente la persona che doveva essere ascoltata era il solo Pietro Orlandi e che questo era già avvenuto qualche giorno fa. Per quanto riguarda, invece, una mia personale audizione come persona informata sui fatti, essa è evidentemente incompatibile con la mia posizione di difensore della famiglia Orlandi e dell'attività in favore della ricerca di Emanuela che sto svolgendo. Questo è quello che ho pacificamente rappresentato, come avevo già fatto telefonicamente e via mail, al Promotore di Giustizia e a tutti i presenti. Appena uscita dal Vaticano le agenzie di stampa hanno cominciato a chiamarmi perché, ad avviso di Vatican News, io mi sarei rifiutata di fare al Promotore di Giustizia i nomi in relazione alle presunte accuse a Wojtyla. Debbo contestare - e con fermezza - quanto detto e scritto. Così come avevo già proceduto tante volte, la mia richiesta dell'11 gennaio u.s. era riferita all'audizione del solo Pietro Orlandi. Dopo questa istanza, il Signor Pietro Orlandi è stato finalmente sentito - per la prima volta! - solo lo scorso 11 aprile e naturalmente resta disponibile, così come da quarant'anni, a conferire con il Promotore tutte le volte che questi vorrà. Per quanto, poi, riguarda la mia posizione, violare il segreto professionale - dovreste ben saperlo - vuol dire non consentire a un difensore di mantenere la propria posizione differenziata, vuol dire alterare i propri rapporti, la propria credibilità, la propria libertà di azione, intralciando il diritto alle proprie autonome indagini. La violazione del segreto professionale impedisce a un avvocato di svolgere liberamente il proprio lavoro. Il segreto professionale è, quindi, baluardo della verità stessa e attaccarlo significa volere impedire a un avvocato di potere apportare il proprio contributo alla verità. Quanto leggo è una pressione su di me a violare la deontologia professionale cui sono tenuta e a cui non intendo, in alcun modo, derogare. Attaccare il segreto professionale è attaccare la libertà e la ricerca indipendente della verità. Tale attacco è ciò che avete fatto oggi. Sia, infine, bene inteso, perché evidentemente di questo si tratta, che Pietro Orlandi non ha mai accusato di nulla Sua Santità di Giovanni Paolo II e nessuna persona che io rappresento lo ha mai fatto. Ha chiesto approfondimenti su fatti a lui riferiti. Tutti i miei assistiti, invece, chiedono, da quaranta lunghi anni, giustizia e verità per la loro amata Emanuela. Il mio invito, pertanto, è quello di ricondurci tutti alle parole di Sua Santità Papa Francesco, a quella leale collaborazione cui mi invitò, oramai quasi un anno e mezzo fa, Sua Santità stessa”.
Acquisiti atti dal Vaticano nell'ambito del procedimento già avviato dopo che il Csm aveva chiesto informazioni su un esposto dei familiari della ragazza scomparsa nel 1983. “E' una cosa positiva perché per la prima volta ci sarà una collaborazione, sempre negata in passato, tra Santa Sede e magistratura ordinaria", il commento del fratello Pietro.
Il 25 giugno dalle ore 10 sit-in a Largo Giovanni XXIII a Roma per ricordare la 15enne a 40 anni dalla sua scomparsa. “Vi chiedo, se potete, di portare tutti una stampa di un’immagine di Emanuela”, l’appello del fratello Pietro.
Papa Francesco: "In questi giorni ricorre il quarantesimo anniversario della scomparsa di Emanuela Orlandi. Desidero approfittare di questa circostanza per esprimere ancora una volta la mia vicinanza ai familiari, soprattutto alla mamma, e assicurare la mia preghiera. Estendo il mio ricordo a tutte le famiglie che sentono il dolore di una persona cara scomparsa". Le parole del Pontefice all'Angelus di oggi, accolte dai partecipanti al sit-in organizzato dal fratello, arrivati in piazza San Pietro.
“Avance verbali subite da mio zio nel 78, quando avevo 21 anni, rivelate al mio fidanzato e a un sacerdote. Lo scivolone di un 50enne, la cosa finì lì. Episodio noto agli inquirenti, con i quali concordammo di non farlo sapere a mio padre per non dargli un dispiacere. Sfido chiunque a considerarlo la svolta del caso”, la sorella Natalina alla conferenza stampa di oggi. Il fratello Pietro: “Il giorno della scomparsa mio zio era fuori Roma con tutta la sua famiglia, come accertato dall’indagine già all’epoca. Mi ha fatto male vedere la sua foto accanto all’identikit. Chi ha fatto uscire questa notizia? Tentativo di qualcuno per scaricare ogni responsabilità al di fuori del Vaticano, addirittura sulla famiglia. Perché non sono state prima sentite le persone coinvolte? Molto grave se la lettera, che non abbiamo visto, riferisce un fatto confidato in confessione. Lancio un appello per la costituzione della commissione parlamentare d’inchiesta, che può portare alla verità”.
Sì definitivo del Senato all’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela e Mirella nel 1983. Pietro Orlandi: “Sono contento, aspettavo con fiducia questa notizia. Questa commissione potrà fare tantissimo. Sono convinto che arriveremo alla verità, non potrà essere occultata per sempre. Ringrazio i senatori che l’hanno votata”.
Commissione d'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori: “La famiglia Orlandi, dopo avere appreso da fonti parlamentari che tutti i capigruppo hanno comunicato i nominativi dei quaranta parlamentari che andranno a comporla, ringrazia i presidenti di Camera e Senato che quanto prima convocheranno i parlamentari designati e augura a questi ultimi buon lavoro”.
Nuovo appello del fratello Pietro al Papa, al sit-in che si è tenuto nel tardo pomeriggio a Roma nell’anniversario della scomparsa. “Momento storico, tre inchieste aperte, quella del Vaticano, quella della Procura e la Commissione Parlamentare”, l’avvocato Laura Sgrò.
“E’ la sua voce, non abbiamo mai avuto dubbi”. Il fratello Pietro sull’audio che arrivò pochi giorni dopo la scomparsa, di cui “Chi l’ha visto?” ha diffuso una parte mai trasmessa. Potevano essere risposte a un questionario del misterioso uomo della Avon, di cui lei parlò nell’ultima telefonata?
“Basta mi lasci dormire adesso!”: “Per me è la voce di Emanuela” quella di alcune frasi della ragazza che si lamentava nell’ “audio che consegnai per la prima volta a “Chi l'ha visto” di Federica Sciarelli nel 2016". Pietro Orlandi all’ANSA. “Spero che salti fuori la cassetta originale, che non è stata mai trovata. La tecnologia di oggi potrebbe far venir fuori altre cose".