Data pubblicazione:21/12/2009
La sera del 5 maggio 1972 115 persone sul volo Alitalia AZ112 Roma - Palermo [DC8 “Antonio Pigafetta” con sigla I – DIWB] trovano la morte sulla Montagna Longa di Carini. A bordo dell’aereo vi è, tra gli altri, Angela Fais giovane giornalista de L’Ora e di Paese Sera. Angela, ha 27 anni, è soprannominata in redazione “Topolino” per la sua vivacità. E’ salita per caso sul Dc 8 perché dall’aeroporto era dovuta tornare a casa sua a Roma in via del Governo Vecchio e si era quindi fatta spostare sul volo successivo a quello che intendeva prendere.
I corpi
I medici legali, intervenuti sul posto hanno parlato di alcuni corpi disintegrati, quello del registra Franco Indovina, compagno di Soraja è stato letteralmente dissolto. E’ rimasta solo la sua protesi dentaria. Altri, seduti in coda erano pressoché intatti.
Sul corpo di Angela Fais e su quelli delle altre vittime non venne mai eseguita l’autopsia. L’esame venne fatto solo sui corpi dei due piloti, il comandante Roberto Bartoli e il pilota Bruno Dini. Venne fatta solo perché la prima commissione d’inchiesta li aveva accusati di essere loro con la loro imperizia e perché ubriachi e drogati ad essere i responsabili della strage.
L’autopsia era stata ripetutamente chiesta - ma sempre negata - dai parenti di Angela Fais e di altre vittime.
Nessuno ha mai riferito negli atti dell’inchiesta giudiziaria o dell’inchiesta ministeriale di un quesito ai periti per la ricerca di tracce di esplosivo sui due corpi sui quali è stata fatta l’autopsia.
Le inchieste
La prima inchiesta è affidata ad una commissione ministeriale presieduta dal generale Francesco Lino, nominato dall’allora ministro Oscar Luigi Scalfaro. La commissione esegue il mandato ricevuto con straordinaria rapidità: in appena 15 giorni, dal 12 al 27 giugno arriva alle sue conclusioni: la colpa era dei due piloti. Il comandante era miope, era ubriaco, forse era anche drogato e aveva lasciato i comandi al suo secondo che viene descritto come una sorta di principiante. Quindi i due sbagliano tutto per risparmiare tempo e vanno a schiantarsi sulla montagna.
Lino e la sua commissione vengono rapidamente sbugiardati. L’autopsia e la perizia tossicologica escludono l’assunzione di alcool o di sostanze stupefacente da parte dei piloti. Entrambi avevano una vasta esperienza alle spalle. Il comandante aveva atterrato più volte anche in notturna a Punta Raisi e si apprestava a passare di ruolo, lasciando le modeste tratte nazionali per essere impegnato sulle rotte a medio raggio. Quello doveva essere il suo ultimo volo sul “Pigafetta”. Bartoli portava delle lenti, ma non aveva problemi di vista incompatibile con il pilotaggio di un aereo. Le condizioni di salute erano perfette. Quella sera aveva già fatto un volo senza alcun problema. La moglie deponendo davanti al magistrato disse che era tranquillo e rilassato.
Il secondo ufficiale Dini soffriva invece inconsapevolmente di una cardiopatia di lieve entità (lo ha accertato l’autopsia) che potrebbe essere anche compatibile con un malore improvviso. Ma anche quando si fosse verificato un evento del genere, questo avrebbe consentito al primo ufficiale di assumere i comandi in pochi istanti senza alcun pregiudizio per il volo. A bordo vi era poi anche un terzo ufficiale, il motorista, anche lui abilitato alla guida del DC8.
Lino nonostante addossi tutta la responsabilità ai due ufficiali in comando, non può fare a meno di notare che vi sono dei fatti inspiegabili.
Il nastro della scatola nera, ritrovata intatta, risulta strappato. Non registra praticamente nulla. Nessun dato del volo, nessuna registrazione delle conversazioni radio e delle conversazioni in cabina. I periti dicono che si tratta di un guasto, il nastro sarebbe uscito dal binario non facendo accendere così la spia di malfunzionamento. Sta di fatto che lo strappo del nastro elimina la prova principale per arrivare alla verità sul disastro. Se di guasto si tratta o di alterazione della prova non lo sappiamo.
Lino conclude affermando che “l’analisi conduce a formulare le ipotesi di una situazione particolare determinatasi all’interno della cabina di pilotaggio per l’intervento di persone estranee oppure di un’avaria che possa avere distolto per quasi due primi l’equipaggio”
L’inchiesta della magistratura è di competenza della Procura di Catania in quanto a bordo del velivolo vi era un importante magistrato palermitano, il dott. Ignazio Alcamo. Il sostituto procuratore Aldo Grassi nella sua requisitoria ribalta le conclusioni della commissione Lino e punta tutto sulle carenze strutturali dell’aeroporto di Punta Raisi e sull’ubicazione del campo. Viene evidenziato infatti lo spostamento su Monte Gradara, nell’entroterra di Cinisi, del radiofaro NDB che si trovava precedentemente sul campo di Punta Raisi. Il radiofaro mantiene la stessa denominazione e la stessa frequenza. Questo secondo le conclusioni del PM al giudice istruttore potrebbe essere una delle cause del disastro. Ma gli esperti hanno smontato questa ipotesi. Il comandante aveva già compiuto l’atterraggio in notturna su Punta Raisi dopo lo spostamento del radiofaro. In ogni caso sia il comandante che il secondo avrebbero dovuto ignorare la carta di avvicinamento aggiornata con la nuova posizione del radiofaro.
Altra obiezione è che avrebbero dovuto ignorare l’altimetro elettronico che registra la quota rispetto al suolo sorvolato e che in caso di superamento della soglia limite fa scattare un allarme luminoso e sonoro. Quindi una volta sulla montagna, anche se ingannati dal radiofaro i piloti si sarebbero accorti che volavano troppo bassi sul crinale di Montagna Longa.
L’ipotesi dell’improvvisa consapevolezza del pericolo e del tentativo di cabrare recuperando quota si scontra con i flaps regolati a 25° ovvero in posizione di planata. Altro non si può valutare poiché nessuna commissione di indagine nessuna inchiesta giudiziaria ha mai valutato e periziato i resti della strumentazione di bordo.
Riguardo alla rotta seguita ci sono enormi dubbi. In primo luogo va ricordato che non esisteva una tracciatura radar dei movimenti degli aerei.
Partiamo dalla conversazione tra il comandante e il sergente Terrano, controllore di volo a PRS. Ascoltiamo cosa si dicono:
Bartoli: “Az 112 è sulla vostra verticale… e lascia 5000 piedi e riporterà sottovento, virando a destra la 25 sinistra”
Terrano: “Ricevuto, il vento è sempre calmo”
Bartoli: “Ok …”.
Il comandante dice due cose importantissime. La prima che è sulla verticale di Punta Raisi (evidentemente per contatto visivo viste le condizioni dell’epoca), la seconda che vira a destra per entrare sulla testa della pista 25 che si può approcciare solo provenendo dalla parte est dell’aeroporto ovvero quella limitrofa all’abitato di Carini. Una virata a sinistra, come ipotizzato dalla commissione Lino e dai primi periti nominati dalla Procura di Palermo avrebbe invece portato il DC 8 verso Cinisi, a ovest dell’aerostazione di Punta Raisi.
Svariati testimoni affermano di aver visto il Dc8 sorvolare Carini, dove molta gente era ancora per strada per seguire i comizi elettorali. Le testimonianze sono univoche e parlano dell’aereo che sorvola l’autostrada (due poliziotti in servizio di pattuglia), poi l’abitato di Carini, altri testimoni tra cui il farmacista dott. Governanti che vedrà poi l’impatto sulla montagna e darà per primo l’allarme ai Vigili del Fuoco. Il tracciato di rotta con virata a sinistra ipotizzato dai periti della commissione Lino e della procura di Palermo appare dunque fantasioso e viene definitivamente escluso dall’inchiesta della magistratura catanese e dalla successiva sentenza confermata in Cassazione.
L’ipotesi dell’esplosione in volo ovvero di un attentato viene avanzata per la prima volta il 7 maggio, due giorni dopo lo schianto, dall’agenzia Reuter e ripresa da alcuni autorevoli giornali inglesi e quindi dalla stampa italiana. La Reuter cita fonti della Polizia e dell’intelligence italiana che starebbero valutando l’ipotesi che la sciagura fosse stata provocata da una bomba.
L’ipotesi potrebbe essere quella di una carica esplosiva detonata subito dopo l’ultima comunicazione Terra/Bordo/Terra mentre l’aereo iniziava la virata a destra per allinearsi con la pista ponendosi in condizione di discesa da quota 5000ft. L’esplosione potrebbe aver provocato uno squarcio nella fusoliera e un forte spostamento d’aria, ovvero una perdita di controllo da parte dell’equipaggio, arrivando così a quanto descritto dalla commissione Lino che abbiamo già ricordato ( “l’analisi conduce a formulare le ipotesi di una situazione particolare determinatasi all’interno della cabina di pilotaggio per l’intervento di persone estranee oppure di un’avaria che possa avere distolto per quasi due primi l’equipaggio”)
Questa ipotesi vedrebbe l’aereo proseguire in un andamento semi rettilineo con una leggera pendenza a destra (provocata presumibilmente dall’inizio della manovra di virata), passando sopra l’autostrada (due agenti della Polizia ne sono testimoni oculari) e quindi sull’abitato di Carini accentuando mano a mano la virata e procedendo poi, fuori controllo, per forza di inerzia (caduta in avvitamento) all’impatto con la montagna. Numerosi testimoni dicono ai giornali che l’aereo tocca il terreno prima con un’ala che si stacca e quindi striscia di pancia sul costone per finire a schiantarsi contro le rocce.
Se fosse accaduto uno scenario come quello che abbiamo descritto troverebbero spiegazione alcune cose:
1) i corpi dei passeggeri (che si vedono nel video inedito) che appaiono spogliati dai vestiti; come se una violenta esplosione unitamente a una forte onda d’urto avesse strappato loro i vestiti
2) le tracce di ustioni sui corpi che sembrano da vampata e non da incendio prolungato.
3) Stato dei corpi non compatibile con un urto a circa 350 km/h.
4) il carrello dell’aereo era retratto, quindi i piloti non avevano attivato la procedura di atterraggio nonostante si trovassero ad una quota di poco più di 900 metri alla quale il carrello, se si fossero preparati all’atterraggio normale doveva già essere fuori
L’ipotesi non può essere esclusa in quanto
1) non è mai stata eseguita l’autopsia sui passeggeri per ricercare tracce di
esplosivo.
2) la cosiddetta scatola nera non ha fornito dati sul volo e sulle comunicazioni. Il
nastro come già visto risulta strappato per un guasto o perché la scatola nera è stata manomessa. Come già detto la perizia per stabilire cosa sia accaduto alla scatola nera è stata respinta dai giudici di Catania.
3) non esiste il tracciato radar del volo AZ112
Il rapporto Peri
L’ipotesi dell’esplosione a bordo del DC8 viene rilanciata dai famigliari di alcune delle vittime. Maria Eleonora Fais ha notizia di un misterioso rapporto (consultabile sul ricchissimo sito www.montagnalonga.it), redatto cinque anni dopo la sciagura da un poliziotto di Trapani. A scrivere il rapporto è il vicequestore Giuseppe Peri. Il funzionario ha diretto a lungo la squadra mobile di Trapani. E’ considerato da tutti un investigatore di primissimo livello. E’ un uomo con un grande senso dello Stato e non è abituato a fare sconti a nessuno. Nel 1977, cinque anni dopo la strage, Peri viene incaricato di seguire le indagini sul sequestro Corleo, la vittima è il suocero del potente esattore Nino Salvo. Corleo viene rapito con un vero e proprio attacco militare. L’imprenditore, nonostante il pagamento di un forte riscatto, non farà mai più ritorno a casa.
Il vicequestore, in servizio alla sezione di polizia giudiziaria della Procura di Marsala, avvia un’indagine a vasto raggio e raccoglie le confessioni di un pentito pugliese ex segretario del MSI in galera per un altro sequestro avvenuto in Puglia. Il pentito afferma che i sequestri sarebbero opera di una sorta di alleanza tra mafia e esponenti dell’eversione nera, guidati da Pierluigi Concutelli.
Il quadro che emerge, da una serie di complesse indagini fa emergere un rapporto di alleanza, scambi di favori, operazioni compiute in stretta collaborazione tra esponenti delle famiglie di Cosa nostra in particolare quelle di Trapani e Alcamo e gli uomini di Concutelli, ma anche con esponenti di logge massoniche deviate.
Peri delinea uno scenario inquietante, che troverà conferma negli anni seguenti, quando emergeranno nel trapanese, le basi di Gladio, la loggia massonica Scontrino e i rapporti complessivi tra Cosa nostra e i tentativi golpisti che si registrano in Italia. Peri probabilmente precorre pericolosamente i tempi. Tra le confidenze raccolte da Peri vi è anche quella che riguarda Montagna Logna. Il pentito infatti l’attribuisce ad un’azione ideata e realizzata dalla mafia e dall’eversione nera. Lo scopo sarebbe quello duplice di destabilizzare il Paese proprio alla vigilia delle elezioni, ma anche di eliminare il magistrato Ignazio Alcamo e il colonnello Fontanelli della Guardia di Finanza. Perché uccidere Alcamo e Fontanelli? La spiegazione di Peri indica l’azione di Alcamo come presidente della sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. Alcamo aveva infatto chiesto il soggiorno obbligato per l’imprenditore Vassallo, uno dei grandi protagonisti del sacco di Palermo, vicino a Ciancimino e a Lima. Fontanelli è un colonnello esperto di riciclaggio. E’ uno dei pochi capace di seguire i flussi di denaro di Cosa nostra e il loro lavaggio.
Il rapporto Peri indica anche un’altra ipotesi, quella della bomba che doveva esplodere ad aereo vuoto, ma che invece a causa del ritardo del volo esplose in aria.
Il rapporto Peri viene inviato a sette Procure della Repubblica e scatena una fortissima reazione contro il suo autore. Peri viene isolato dopo uno scontro con i questore di Trapani Aiello e con il suo vice Varchi, sarà trasferito a Palermo con un incarico burocratico. Morirà alcuni anni dopo per un infarto. Pochi giorni prima il rapporto era stato definitivamente archiviato dal magistrato Cassata. Varchi e Cassata risulteranno poi iscritti alla loggia P2. Il rapporto scompare, fino quando Maria Fais non viene a sapere della sua esistenza. Inizia una lunga ricerca che porta Maria Fais a Marsala dal procuratore Paolo Borsellino. Borsellino si interessa alla vicenda e al rapporto. Avvia una ricerca, che si presenta difficilissima, nei suoi uffici. Riesce solo a recuperare il numero di protocollo, prima di essere assassinato in via D’Amelio. Con quel numero Maria Fais alla fine riesce ad recuperare copia del rapporto e chiede inutilmente la riapertura del caso.
Alcuni parenti delle vittime della sciagura aerea di Montagna Longa si sono recati sul luogo dell'incidente che la sera del 5 maggio di 38 anni fa provocò la morte di 115 persone. Il volo AZ 112 dell'Alitalia, proveniente da Roma, alle 22 e 23 si schiantò contro il costone roccioso che costeggia l'aeroporto di Punta Raisi e tutte le persone a bordo persero la vita. Il processo, che si svolse a Catania, nell'84 mandò assolti tutti gli imputati, responsabili e dirigenti aeroportuali e dell'aviazione civile. A distanza di 38 anni i parenti delle 115 vittime continuano a cercare ancora una verità che, secondo loro, il processo non ha fatto venire a galla: ''le nostre richieste - spiega Pietro Faso che nella sciagura ha perso il padre Ignazio - vengono ignorate, nonostante l'inchiesta non abbia fugato i numerosi dubbi emersi. Mai nessuno a livello giudiziario - aggiunge - ha preso in considerazione la tesi di un attentato o di un sabotaggio''. Dopo la visita dei parenti delle vittime sul luogo della sciagura, nel Duomo di Carini e' stata celebrata una messa di suffragio per i morti.