Edizione:2004/2005
Data pubblicazione:17/01/2005
I familiari di Antonella Di Veroli, 47 anni, nubile, consulente del lavoro, preoccupati per la sua assenza al lavoro e non avendo sue notizie dalla sera prima, alle 19,30 dell'11 aprile 1994 si sono recati a casa sua, nel quartiere Talenti di Roma, in via Domenico Oliva 13. Nell'appartamento le luci erano accese e c'era un po' di disordine, ma di lei non c'era nessuna traccia. Alle 21 è arrivato sul posto anche Umberto Nardinocchi socio ed ex compagno della Di Veroli, accompagnato dal figlio e da un amico agente di Polizia. Il giorno seguente, alle 16,30, la sorella della donna scomparsa e Nardinocchi sono tornati nella casa e questa volta hanno trovato il corpo della donna nell'armadio della camera da letto. Era stata colpita alla testa con due colpi di arma da fuoco di piccolo calibro e poi soffocata con un sacchetto di plastica. Le ante dell'armadio erano sigillate con del mastice. La sorella della vittima ricordava di aver già controllato l'armadio durante la prima visita e di aver notato il forte odore di colla solo durante la seconda. Gli inquirenti ipotizzarono che la Di Veroli conoscesse il suo assassino e i primi accertamenti furono effettuati su Nardinocchi e su un fotografo con il quale la donna aveva avuto una relazione, Vittorio Biffani. Dopo una serie di verifiche, quest'ultimo venne accusato di aver commesso l'omicidio perché la Di Veroli, con la quale aveva anche un debito di oltre 40 milioni di lire, non avrebbe voluto rassegnarsi alla fine della loro relazione. Ma Vittorio Biffani è stato poi assolto al termine di un lungo e intenso processo indiziario di primo grado, durante il quale la sua difesa ha confutato tutti gli elementi d'accusa e la stessa parte civile si è convinta della sua innocenza. La sentenza è stata confermata definitivamente nei successivi gradi di giudizio, fino in Cassazione. Biffani è deceduto il 4 luglio 2003.
Fino ad oggi ancora non è stato scoperto l'assassino di Antonella Di Veroli, forse perché sono state trascurate le ipotesi investigative legate all'attività professionale della donna. Il criminologo Francesco Bruno ritiene difficile che si sia trattato di un delitto passionale, secondo lui l'aver nascosto il corpo nell'armadio è stato un gesto simbolico. Secondo l'avvocato della famiglia Di Veroli il nome del responsabile potrebbe anche essere contenuto negli atti dell'inchiesta.
“Riaprire le indagini sull’omicidio di Antonella Di Veroli”: Appello della sorella e della nipote della donna ritrovata senza vita nel 1994, in un armadio della sua casa nel quartiere Talenti di Roma. Era stata colpita alla testa con due colpi di arma da fuoco di piccolo calibro e poi soffocata con un sacchetto di plastica. “Se qualcuno sa, si faccia avanti”.
“Riaprire le indagini sull’omicidio di Antonella Di Veroli, non è stato un delitto passionale”. Appello della sorella e della nipote della donna scomparsa e ritrovata senza vita nel 1994, in un armadio della sua casa nel quartiere Talenti di Roma. Era stata colpita alla testa con due colpi di arma da fuoco di piccolo calibro e poi soffocata con un sacchetto di plastica. Chi era l’uomo visto con una busta sotto casa sua? Chi chiamò un taxi dal suo telefono? “Se qualcuno sa, si faccia avanti”.