Data pubblicazione:05/07/2010
Angelo Mancia era un militante del Movimento Sociale Italiano che lavorava come fattorino al giornale del partito, il Secolo d’Italia. Il 12 marzo del 1980, quando aveva 27 anni, venne ucciso con sette colpi di pistola davanti al portone di casa, in via Federico Tozzi 10, nel quartiere Talenti a Roma. I killer arrivarono in via Tozzi nella notte, a bordo di un pulmino Volkswagen di colore azzurro chiaro. Erano in due, armati di pistole calibro 7,65, con indosso camici bianchi, come quelli degli infermieri. Restarono nascosti dentro il pulmino fino al mattino, senza perdere di vista il portone del civico 10, in particolare il quarto piano. Nell’appartamento tenuto sotto controllo viveva la famiglia Mancia: il padre e la madre, titolari di un negozio di alimentari, e i tre figli. Angelo era il primogenito, un ragazzone di otto anni più grande dei fratelli. Agli studi aveva preferito l’attivismo politico, nel partito di Almirante, frequentava la sezione di Talenti. Ogni giorno, in sella al suo motorino Garelli, recapitava le copie del Secolo d’Italia in Tribunale e in Procura. Quel 12 marzo Angelo Mancia si svegliò alle 7.30. I genitori erano al lavoro, i fratelli a scuola. Alle 8.30 aprì il portone e si incamminò lungo il vialetto, verso il suo motorino. Dal pulmino saltarono fuori i due uomini coi camici bianchi e iniziarono a sparare. Mancia venne colpito. Tornò indietro, cercando rifugio nel portone di casa, muovendosi a fatica. Uno degli assassini lo raggiunse e gli sparò un ultimo colpo alla nuca. Nel frattempo arrivò una Mini Minor rossa, con alla guida un terzo complice che raccolse i due killer e si allontanò. Poche ore dopo l’agguato, alle 11.05, arrivò al quotidiano ‘La Repubblica’ una telefonata di rivendicazione: “Qui compagni organizzati in Volante Rossa abbiamo ucciso noi il boia Mancia. Siamo scesi da un pulmino posteggiato lì davanti". Era una rivendicazione che avrebbe potuto far pensare all’ennesimo scontro tra militanti di destra e sinistra di quegli anni di piombo. Ma il delitto apparve fin da subito anomalo, proprio come quello come quello di Valerio Verbano, ucciso pochi giorni prima. Non solo perché in entrambi i casi la dinamica fece pensare a un'azione militare, ma soprattutto perché due dei killer in azione si somigliavano. Gli identikit di uno degli assassini dei due giovani militanti politici, disegnati a distanza di due settimane da mani diverse (uno dalla polizia, l’altro dai carabinieri) mostrano una forte somiglianza. A 30 anni dall'omicidio di Angelo Mancia le indagini sono state riaperte. Dal febbraio 2010 il caso è tornato all'esame della magistratura insieme ad altri 18 omicidi degli anni di piombo rimasti insoluti.
"Le rivelazioni apprese nel corso della trasmissione 'Chi l'ha Visto?' andata in onda ieri sera su Rai 3, credo impongano la riapertura delle indagini sull'omicidio di Angelo Mancia". E' quanto dice in una nota il senatore Domenico Gramazio, vicepresidente vicario della commissione Sanità ed amico di Angelo Mancia. "Durante la trasmissione si fa riferimento al fatto che i due assassini siano stai recuperati da una Mini rossa- continua Gramazio- Da notizie in mio possesso, risulta che in quel periodo si muovesse con un'auto simile tale Germano Maccari, che partecipò al rapimento di Aldo Moro e fu proprio lui a far fuoco sul presidente della Dc quando si inceppo la 'Skorpion' di Gallinari. Ho presentato oggi- conclude il senatore Gramazio- un'interrogazione ai ministri dell'Interno e della Giustizia per chiedere la riapertura delle indagine sull'assassinio di Angelo Mancia".