Roma, 22/7/2016 - Scrive alla stampa Viola Giorgini, fidanzata di Federico Ciontoli e imputata per omissione di soccorso nel processo per la morte di Marco Vannini. In una lettera pubblicata dal sito dell’emittente locale “Mecenate Tv”, rivela che il figlio di Antonio Ciontoli, “con il quale - spiega - non condividerei nulla se lo sapessi colpevole”, “vive lontano dai suoi familiari” a causa “NON DELL’ACCADUTO ma della pressione mediatica e anche della conseguente ondata di odio”. La ragazza imputa ai genitori di Marco di non aver raccolto la sua disponibilità “a raccontare di nuovo tutto”, e alle accuse contro di lei sui social network dà questa risposta: ”L’unica, vera e reale che intendo dare e che ho sempre dato, è che quella sera non ho capito cosa stava succedendo perché non sapevo. Mi sono affidata come tutti a chi sembrava avesse in mano la situazione: perché non avrei dovuto farlo? Perché non mi sarei dovuta fidare? Ho agito nei miei limiti, ho preso acqua e zucchero, sono corsa incontro all’ambulanza, queste erano la mie capacità sulla base delle mie facoltà e sulla base di ciò che sapevo. Avrei dovuto fare altro? Si.., ma se la realtà fosse stata un’altra!”. Facendo riferimento ai documenti trasmessi da “Chi l’ha visto?”, che ha portato alla luce il caso, la fidanzata di Federico Ciontoli spiega ancora al popolo di Facebook “che certe mie parole poste in un ‘certo modo’ dai programmi possano aver fatto pensare che io davvero stessi nascondendo qualcosa e ‘parando il culo’ ad altri … ma è una visione riduttiva dei fatti”. "Non mi nascondo" ma “non intendo farmi ‘mangiare’ dalle telecamere per scopi che non portano alla verità”, scrive inoltre Giorgini, motivando “la scelta di non essere presenti in televisione”.
[Video - Marco Vannini, il ragazzo che non doveva morire - Speciale “Chi l’ha visto?” del 13 luglio 2016]
La lettera integrale di Viola Giorgini:
“Mi chiamo Viola Giorgini, sono accusata di omissione di soccorso nel procedimento penale per la morte di Marco Vannini. Scrivo a Voi perché mi auguro vogliate aiutarmi a far arrivare la mia voce alle persone che hanno e avranno a cuore questa storia. Vorrei iniziare con il fare una distinzione. Credo che in ambito giornalistico esistano due tipologie di diffusione della notizia: una reale e veritiera, fondata sui fatti nel rispetto del corso della giustizia e della vita delle persone; un’altra che ne fa “gossip” manipolando le notizie secondo la propria convenienza, senza preoccuparsi delle ripercussioni sulla libertà e sulla volontà di vivere di chi viene accusato ingiustamente di essere un assassino. E questo ancor prima di essere giudicato colpevole o addirittura, come nel mio caso, prima ancora di essere indagata. Io confido nel fatto che questa lettera possa essere pubblicata integralmente, senza omissioni, essendo questo l’unico modo a mia disposizione per far capire che non mi sono mai “nascosta” ma che allo stesso tempo non intendo farmi “mangiare” dalle telecamere per scopi che non portano alla verità.
Vorrei rivolgermi a tutte quelle persone che quotidianamente ci augurano l’ergastolo, la pena di morte e di morire bruciati al rogo, con la speranza che esista ancora un briciolo di umanità e di coscienza in loro per dire : fermatevi a riflettere e nei momenti in cui non siete completamente presi da ciò che la tv propone, abbiate un’autonomia di pensiero, mettendo in discussione se quello che viene detto è verità. Non vi siete mai chiesti se state quotidianamente accusando una persona innocente? Ed il dubbio che io lo sia, non basta per non scrivere in un gruppo su un social “creato per amore di Marco” continui insulti e minacce? È un anno e tre mesi che vengo designata come colei che ha contribuito volontariamente alla morte di Marco. Ed è un anno e tre mesi che sono costretta ad assistere al tutto dall’esterno. Perché? Perché cos’altro dovrei fare? Espormi in tv? e distruggere così quel poco che resta della mia vita? Lasciare che i programmi possano fare ascolti? Per far contenti chi? Non ho mai creduto che questi programmi potessero aiutare a comprendere la verità… anzi, mi domando tutt’ora perché ne venga fatto così tanto uso, non basta la giustizia? Non è lei che deve decidere per me? O i programmi ed i giornali? Dei quali tra l’altro non ci si può neanche fidare perché non raccontano la verità o la raccontano secondo la loro convenienza. Mi viene chiesto su questo gruppo di dire la verità e dissociarmi, ma secondo voi non è già stato fatto? Non vi risulta che io abbia subito un interrogatorio? E pensate che io lì sarei stata in grado di mentire ed inventarmi una storia diversa dalla realtà? No, non sono un’esperta, non sono una persona senza cuore, sono una ragazza come tante che fino ad un anno e tre mesi fa era molto piccola, molto più piccola di come doveva essere, ma che dava importanza alle cose alle quali tutte le ragazze di venti anni danno.
Nella lettera che scrissi alla signora Marina e al signor Valerio dissi apertamente che ero disposta ad incontrarli, mortificandomi del non esser andata subito da loro, motivando questo con il grande choc, mio e soprattutto delle persone vicine a me, che avevano bisogno della mia vicinanza, ed anche perché dopo soli pochi giorni erano a chiedere giustizia e verità in tv. Sottolineando, nella lettera, che non ho mai inventato o nascosto nulla. Ero disposta a raccontare di nuovo tutto, ma non hanno voluto, è stata fatta attenzione alla richiesta di ricevuta di ritorno, fatta esclusivamente per avere la conferma della loro ricezione, non potendo andare sul posto, trasformata invece da loro come un tentativo di mettermi in buona luce di fronte ai giudici. Ma ebbi solo una lettera di risposta basata su: rabbia, disgusto e pena. Ora vorrei chiedere a tutti … perché? Perché avrei dovuto complottare con una famiglia non mia (anche se non l’avrei fatto neanche con la mia)? perché avrei dovuto volere la morte di una persona? Perché mi sarei rovinata la vita in questo modo? Io pur volendo non trovo una risposta. L ’unica, vera e reale che intendo dare e che sempre dato, è che quella sera non ho capito cosa stava succedendo perché non sapevo. Mi sono affidata come tutti a chi sembrava avesse in mano la situazione: perché non avrei dovuto farlo? Perché non mi sarei dovuta fidare? Ho agito nei miei limiti, ho preso acqua e zucchero, sono corsa incontro all’ambulanza, queste erano la mie capacità sulla base delle mie facoltà e sulla base di ciò che sapevo. Avrei dovuto fare altro? Si.., ma se la realtà fosse stata un’altra! Capisco che certe mie parole poste in un “certo modo” dai programmi possano aver fatto pensare che io davvero stessi nascondendo qualcosa e “parando il culo” ad altri … ma è una visione riduttiva dei fatti ed è naturale che voi abbiate questa visione. Chi mi dovrà giudicare, lo farà sulla base di fatti reali e non trasformati a proprio piacimento.
Vi scrivo, come scrissi ai genitori di Marco, perché sarò sempre disposta a spiegare a chi davvero vuole sapere e purché se ne faccia un buon uso. Non sarò mai disposta, però, all’uso della mia persona e di questa storia per gli scopi con i quali alcuni programmi e giornali hanno affrontato e affrontano la vicenda. Spero di suscitare in voi un dubbio: tutti questi programmi e di conseguenza un certo tipo di giornalisti, possono davvero rappresentare la verità? possiamo davvero fidarci di loro? E soprattutto è giusto che annientino la vita di una persona innocente emettendo giudizi senza avere la qualifica per farlo? Non mi sembra che questo sia diritto all’informazione, piuttosto una trasformazione di queste tragedie in spettacolo, con lo sconvolgimento totale della realtà dei fatti. Prima che succedesse questa storia non ho mia ragionato in questi termini. Credo che se avessimo un pensiero più autonomo e meno indotto si potrebbero capire molte più cose, come ad esempio la scelta di non essere presenti in televisione fin dall’inizio.
Questa tragedia ha coinvolto tutti, ma naturalmente come già fatto, mi inchino al dolore dei genitori e delle persone più vicine a Marco e non posso neanche immaginare quanto non abbia più senso la loro vita. La sofferenza però, è grande anche dalla mia parte ma posso dire di avere ancora una casa e la possibilità di vivere in famiglia. Cosa che invece non ha Federico (con il quale non condividerei nulla se lo sapessi colpevole) che, a seguito NON DELL’ACCADUTO ma della pressione mediatica e anche della conseguente ondata di odio delle persone, ha rinunciato a vivere nella proprio casa e vive lontano dai suoi familiari. E non per mancata volontà di affrontare l’evento, ma per la necessità di sopravvivere. È di entrambi la volontà di non nascondersi e di affrontare il processo con consapevolezza e fiducia. Sarà difficile rinunciare a volte ad essere presenti in aula ma la situazione esterna ci costringe quasi a farlo: l’accanimento mediatico dei giornalisti ci costringe a tutelare quel poco che resta della nostra vita.
Ringrazio quelle redazioni che riterranno opportuno pubblicarmi, ritenendosi differenti da quel tipo di giornalisti a cui ho fatto riferimento.
Ringrazio altresì quanti mi leggeranno. Viola Giorgini”