Data pubblicazione:19/04/2010
Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Ostia 2 novembre 1975) è una delle più significative personalità del panorama culturale del Novecento. Fu poeta (in dialetto e in italiano), romanziere, critico letterario, saggista, drammaturgo, sceneggiatore e regista, sempre attento ad una “continua ridefinizione del rapporto tra la vita personale, le scelte culturali, l’orizzonte storico, politico e sociale. Per Pasolini, la cultura è in ogni momento presenza nel mondo, intervento nell’attualità, modo per affermare esigenze imprescindibili, di valore universale, che riguardano la realtà nella sua interezza” (G. Ferroni). La cifra della sua produzione è forse nella ricerca di una purezza, di una semplicità di matrice contadina, non intaccata quanto ai suoi valori cardine e al suo spirito dal Fascismo, bensì uccisa dal consumismo capitalistico in cui si muove la classe borghese. “Per la sua esperienza di omosessuale, egli vive il rapporto con la realtà sotto il segno dell’impurità e dello scandalo”
Pier Paolo Pasolini è morto il due novembre del 1975. Il caso concernente la morte dell’intellettuale è stato iscritto al ruolo dalla Procura di Roma (Pm Di Martino e Minisci) dopo un esposto presentato dall’avvocato Stefano Maccioni e dalla criminologa Simona Ruffini che hanno compiuto indagini e ascoltato dei testimoni. Un teste, Silvio Parrello racconta che uno degli autori dell’aggressione mortale a Pasolini potrebbe essere un certo Antonio Pinna, poi misteriosamente scomparso. La vettura del signor Pinna fu ritrovata a Fiumicino (Roma) il 16 febbraio del 1976. Il Pinna, facoltoso pregiudicato, che conosceva Pasolini da molti anni, nell’immediatezza della morte dell’intellettuale avrebbe portato ad un carrozziere un Alfa Romeo simile a quella di proprietà di Pasolini per farla riparare: l’auto era ammaccata e sporca di fango. Il carrozziere pensando che l’auto fosse in quello stato per una ragione legata alla morte di Pasolini aveva rifiutato di ripararla; tanto che il Pinna aveva dovuto portarla ad un altro carrozziere. Le dichiarazioni del testimone confermerebbero la tesi secondo la quale ad uccidere Pasolini sarebbero state più persone e non il solo Pino Pelosi che fu condannato in via definitiva per omicidio compiuto dopo un incontro clandestino con lo scrittore. Vi sarebbero conferme in tal senso raccolte all’Idroscalo di Ostia da Sergio Citti che ha girato un video conservato a Bologna alla Cineteca (Archivio Pasolini). La presenza di altre persone è confermata da Pelosi nella sua ritrattazione. Pelosi nel 2005, nel corso della trasmissione 'Ombre sul Giallo' di Franca Leosini, ha riferito di essere stato aggredito da tre persone che parlavano con accento siciliano che lo avrebbero picchiato e quindi avrebbero massacrato Pasolini. Il racconto di Pelosi, pur con tutte le riserve del caso, ha alcuni spunti importanti. Pelosi potrebbe averle inventate, ma riferisce due parole che appartengono al gergo stretto catanse: “fitusu” e “iarrusu”: quest’ultima parola è un termine fortemente dispregiativo con il quale, a Catania, si indica un omosessuale che si prostituisce. Inoltre, Pelosi ha nominato un avvocato legato all’estrema destra. La perizia psichiatrica di parte viene affidata ad Aldo Semerari, lo psichiatra e criminlogo fondatore dei Nar, poi ucciso e decapitato. Semerari dichiara Pelosi incapace di intendere, ma la sua perizia viene respinta dal giudice Moro che condanna Pelosi e indica in sentenza la presenza di altri soggetti sul luogo del delitto.
"Ho confermato di aver visto un manoscritto che mi è stato detto essere il capitolo mancante dell'opera pubblicata postuma 'Petrolio' di Pier Paolo Pasolini". Così il senatore Marcello Dell'Utri sentito per circa trenta minuti in Procura nell'ambito dell'inchiesta sulla morte dello scrittore Pier Paolo Pasolini avvenuta all'Idroscalo di Ostia nel 1975. Un'audizione disposta dopo le dichiarazioni del politico che in alcune interviste disse di aver letto un dattiloscritto di 78 pagine riconducibile al capitolo scomparso di "Petrolio", il romanzo-inchiesta su cui stava lavorando lo scrittore prima della morte e pubblicato postumo dello scrittore nel 1992. Nel documento in questione si parlerebbe dell'Eni, di Enrico Mattei, di Eugenio Cefis. "Era un volume di circa 70 pagine dattiloscritte su fogli di carta velina - ha detto Dell'Utri lasciando gli uffici di piazzale Clodio - Il titolo era 'Lampi su Eni', l'ho sfogliato rapidamente e ho notato che aveva delle correzioni e note fatte a mano. Mi fu fatto vedere da una persona che non mi disse il suo nome e che incontrai all'inaugurazione della mostra su Curzio Malaparte a Milano. Voleva vendermi il dattiloscritto e gli chiesi quale fosse il prezzo, ma lui mi disse che si sarebbe rifatto vivo e gli diediil mio numero di telefono, ma non mi ha mai chiamato. Questa persona mi mostrò anche una copia del libro 'Questo è Cefis' del 1972 che fu fatto ritirare dal mercato proprio dallo stesso Cefis. Mi disse che l'ultimo capitolo di 'Petrolio' contiene molto di più di quello che c'è in questo libro. Il volume su Cefis, che ho letto, narra di cose inquietanti e non è possibile trovarlo sul mercato". Pasolini fu ucciso nella notte tra l'1 e il 2 novembre 1975 in un campetto sterrato nella zona dell'idroscalo di Ostia. Il cadavere fu trovato la mattina del 2 novembre, sfigurato dai colpi e da un'auto che gli passò sopra. Il regista fu colpito più volte alla testa e poi investito da una macchina. Vicino furono trovati attrezzi usati per il pestaggio: un paletto e una tavoletta nera macchiati di sangue. Per la morte dello scrittore fu condannato Pino Pelosi, detto "Pino la rana", un 'ragazzo di vita' all'epoca diciassettenne, che fu fermato a bordo dell'Alfa Romeo 2000 Gt di Pasolini. In primo grado Pelosi fu condannato a nove anni di reclusione con una sentenza che ipotizzò la presenza di altre persone sulla scena del delitto; in secondo grado la condanna venne inflitta per omicidio senza concorso di altri.
''Pasolini aveva paura e qualche mese prima di morire fece cambiare il numero di telefono di casa perchè riceveva minacce''. Lo ricorda Ines Pellegrini, una delle sue attrici preferite che il regista volle nel suo film 'Le Mille e una notte'. Ines, eritrea, era tra le persone vicine a Pasolini: ''Mi voleva bene, diceva che lo ispiravo''. Il regista era stato colpito dal suo volto guardando una sua fotografia e la volle nel film nella parte di Zummurud senza che avesse avuto nessuna esperienza nel cinema. Era il 1974. ''Provavo da diversi giorni a chiamarlo, ma non era più possibile prendere la linea. Avevo cominciato a preoccuparmi. Poi mi chiamò Pier Paolo e mi disse che aveva cambiato il numero: 'Mi arrivano telefonate di minaccia, io sono pronto... se mi vogliono colpire. Ma l'importante è che non parlino con mia madre'. E aggiunse: ''Ti do' il nuovo numero: qui mi possono rintracciare solo gli amici''. Ines Pellegrini vive ora a Los Angeles e si occupa degli homeless della città, gira di notte portando cibo ai diseredati insieme alle Sorelle di Calcutta, alternandolo al suo lavoro in una boutique alla moda. ''Ho sentito che si riapre il capitolo sulla morte di Pasolini e ho deciso di raccontare quello che lui mi disse allora'', racconta. ''Ripeto: aveva paura e io non riuscivo a capire il perchè e a chi si riferiva, oggi forse quelle parole hanno un senso più chiaro''.
La verità scomoda di Sergio Citti che il 2 novembre del 1975 filmò la scena del crimine all'idroscalo di Ostia rivelando le incongruenze delle dichiarazioni di Pino Pelosi, e la testimonianza di un ex ragazzo di vita Silvio Parrello, già resa a 'Chi l'ha visto?' nella puntata del 19 aprile scorso, che con un'indagine personale avrebbe individuato i nomi di "ignoti", il carrozziere che ripulì e riparò la "seconda macchina" che materialmente uccise lo scrittore, e la persona che quella notte gliela portò. Da questi elementi parte la riapertura delle indagini sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini illustrata oggi alla Casa del Cinema da Guido Calvi incaricato dal Comune di Roma che nel 2005 (a trent'anni dalla morte) si costituì parte civile nella causa. Presenti anche Gianni Borgna ex assessore capitolino alla Cultura, l'attuale assessore Umberto Croppi e Mario Martone che ha registrato la testimonianza nel 2005 di Sergio Citti poco prima che morisse. "Siamo davanti ad un magistrato che sta accertando con un nuovo atto giudiziario possibili ignoti e possibili mandanti - dice Calvi - compiendo finalmente passi in avanti. Ringrazio il Comune di Roma nell'affidarmi l'incarico di riaprire l'istruttoria e trovare la verità. Ringrazio Martone che mi ha consentito di avere un atto giudiziario, l'intervista a Sergio Citti perché ci dicesse quello che sapeva e mostrasse il suo filmato per consentire al giudice di vedere uno scenario sconosciuto. Ho depositato l'atto qualche giorno fa. Questo Stato ha un grande debito nei confronti dell'indagine - continua Calvi - La morte di Pasolini fu chiusa subito dopo l'arresto di Pelosi, e non fu fatto più nulla con la cancellazione di elementi fondamentali. Era evidente che Pelosi non diceva il vero. Basta vedere il filmato di Pelosi che entra in carcere senza una macchia di sangue quando il corpo di Pasolini era devastato. Sul luogo del delitto la più elementare delle indagini prevede di circoscrivere l'area quando invece fu consentito a tutti di entrare e disperdere le tracce di una seconda macchina che portava altri protagonisti. L'autovettura di Pasolini tenuta per giorni e giorni nel parcheggio della polizia sotto la pioggia (era novembre). Voglio ricordare che già il giudice del Tribunale dei Minori Carlo Alfredo Moro fratello di Aldo Moro, presidente di Cassazione che condusse l'indagine, arrivò ad una sentenza di condanna di Pelosi per omicidio volontario in concorso con ignoiti. In Italia è stata coperta con velo di omerta' questa morte. Noi abbiamo continuato per merito del Comune di Roma, perchè le verita' emergessero. Abbiamo fatto riaprire per due volte il caso ma con indagini sommarie. Stavolta qualche speranza in più la nutro. Primo mi sembra che questo giovane magistrato la stia conducendo con scrupolo. Poi, c'è tutta la vicenda strana di Petrolio che ha dato materia per riaprire l'istruttoria. Improvvisamente Dell'Utri dichiara di aver avuto e letto l'ultimo capitolo di Petrolio per presentarlo al Salone del Libro. Scatta l'interrogazione parlamentare di Veltroni, la risposta di Dell'Utri che non era più in grado di ricostruire chi gliel'aveva dato. Il giorno dopo Bondi che da' risposta netta in Parlamento che riporta i fatti come erano stati denunciati da Dell'Utri. Il secondo atto con la lettera di Veltroni al ministro Alfano che subito risponde sul Corriere che riteneva opportuno riaprire le indagini come atto dovuto. Per la prima volta la politica ha superato il mondo degli intellettuali, dove invece ho trovato risposte sconcertanti da alcuni diffidenti. La verità è un dovere dello stato e perché mai un atteggiamento diffidente su accertamenti sull'omicidio del più grande intellettuale italiano del secolo scorso. La politica si è mostrata più seria rigorosa e attenta: arrestato Pelosi il processo si è chiuso, invece è un dovere accertare gli ignoti. Lo stato deve fare quello che non ha fatto allora, forse questi ignoti non sono più vivi dopo trent'anni, ma bisogna dare risposta ad un mistero". E conclude l'avvocato: "Noi oggi presentiamo l'atto che ha girato Martone: non è un film ma un atto giudiziario, un'investigazione difensiva portata al magistrato perchè l'acquisisca agli atti e ne tragga le conseguenze. C'è un testimone, poi, che ha dato nomi sul carrozziere che prese in custodia la macchina, e sulla persona che gliela portò, si aprono nuovi scenari su ignoti dunque. Il mio convincimento è che qualcuno voleva che quella voce non parlasse più, una voce che non doveva essere più ascoltata o letta. Quel 'Io so' non doveva essere più ripetuto. Spero che qualche passo in avanti si possa fare. Al di là dell'esito è un atto doveroso da parte della magistratura per fare luce su chi ha voluto quella morte". E ci tiene Calvi a sottolineare che in tutta la vicenda giudiziaria si è "affidato a Faustino Durante per la consulenza di medicina legale, fu lui che scopri' la traccia del sormontamento della macchina sul corpo di Pasolini".
Sono iniziate oggi le analisi sui vecchi reperti legati all'omicidio dello scrittore Pier Paolo Pasolini, avvenuto a Ostia il 2 novembre del 1975. Su delega degli inquirenti della procura di Roma, i carabinieri del Ris hanno iniziato ''un accertamento tecnico irripetibile'' che punta ad analizzare tutto il materiale repertato e archiviato. Alla presenza del cugino di Pasolini, Guido Mazzon, che si è costituito come parte offesa, ed al suo avvocato, Stefano Maccioni, oltre che ai consulenti dell'avvocato Guido Calvi, in rappresentanza del comune di Roma, è stato passato in rassegna tutto quanto era conservato sino ad ora nel museo criminologico: dalla tavoletta con la quale Pino Pelosi avrebbe ucciso Pasolini, agli indumenti ed effetti personali di Pelosi e dello scrittore. Analizzati anche ciò che era presente nell'auto con la quale sarebbe stato investito Pasolini. Gli esperti del Ris dovranno lavorare anche su alcuni oggetti di cui non si è mai accertata con chiarezza la proprietà a partire dal plantare taglia 41/42 che fu rinvenuto nell'abitacolo dell'auto. "Le verifiche andranno avanti - afferma Maccioni - al momento siamo soddisfatti del fatto che il pubblico ministero Francesco Minisci abbia disposto questo accertamento che si attendeva da tanto tempo".
Un dna, che non appartiene né a Pasolini né a Pino Pelosi, è stato trovato sulle tavolette usate per colpire lo scrittore e regista, conservate per anni al Museo di criminologia di via Giulia. Secondo quanto rivela 'Il Messaggero' "dalle analisi eseguite dai Ris dei carabinieri sui reperti conservati per anni nel museo sono emerse tracce ematiche e impronte che non appartengono a nessuno dei due". Il pm Francesco Minnisci, che ha disposto il riesame dei reperti, è pronto a sentire nuovi testimoni. Tutte i reperti trovati sul luogo del delitto, custoditi per anni in uno scatolone, sono stati analizzati: gli indumenti, gli oggetti personali, la camicia modello Missoni, gli stivaletti alla moda, il maglione verde, che i parenti dello scrittore esclusero fosse di Pasolini, i jeans e l'anello trovato nel fango dell'Idroscalo.